Giancarlo Risso è nato a Cuneo nel 1953 e ha sempre vissuto e lavorato a Robilante fino alla sua morte avvenuta il 17 ottobre di due anni fa.
Scultore autodidatta ha opera dall’età di 13 anni, iniziando con la scultura in legno per proseguire negli ultimi quindici anni con la lavorazione della pietra abbinando a essa materiali ferrosi. Le sue opere creano linee e composizioni che rimandano alla tradizione mitologica celtica e alle tradizioni popolare occitane delle nostre terre, ma anche opere che evidenziano il suo genio artistico, approdando a soggetti come esplosioni comiche, mondi rotanti, da cui emergono suggestioni e sensibilità ataviche. Tra i soggetti delle sue sculture, nate dalla manipolazione delle pietre donate dalla natura, spiccano anche tematiche sociali, religiose e storiche con intarsi che spaziano dalla figura, con molti volti e maschere, al motivo surreale.
“Giancarlo scolpisce la sua anima”, così Vittorio Sgarbi aveva scritto dell’artista e l’amico Ivo Vigna lo ricorda: “È proprio ispirandosi alla cultura delle sue terre occitane, che il suo genio artistico, gli ha permesso di raggiungere risultati importanti, utilizzando materiali che la natura gli offriva, creava composizioni manipolandoli ed estraendone significanze dedicate: alla fertilità, alla madre terra, ai soli e ai suoi universi. Voglio ricordare l’uomo, l’amico e l’artista con una citazione che ho letto a chiusura del catalogo “Raccondi di Pietra” edito dall’Ente Provincia in occasione di una sua mostra.. ciao Giancarlo è stato proprio così: “Con martel e scoupel da en principi a la fin..”
“L’arte scultorea di Giancarlo Risso – spiega Carla Marino – come molti fra gli artisti attenti all’espressione interiore che non alla forma figurativa. Riesce con massima semplificazione della forma ad animare l’opera, dopo con stile realizza ed interpreta l’espressione della testa umana. L’artista ha ottenuto quella maturità stilistica con una sintesi di purezza assoluta, che ottiene eliminando tutti i particolari sino al raggiungimento del meglio di una espressione umana, lavorando soprattutto attraverso la volumetria e i lineamenti. Egli dona all’osservatore emozione inducendolo alla meditazione riflessiva. Giancarlo Risso è scultore di volti e maschere, ma la sua maestria è arrivata a raccontarci molto di più”.
Risso ha ottenuto riconoscimenti di Eccellenza Artigiana Piemontese nel settore della lavorazione artistico tradizionale e nel restauro ligneo.
“Risso – scrive Riccardo Cavallo – ha trovato le pietre o ha obbedito al richiamo di una loro storia intima, della loro favola segreta. Ci pare una domanda abbastanza bella, almeno al punto tale di non volerla rovinare con delle risposte. Qui la mano passa al lettore, allo spettatore, al testimone comunque lo si voglia chiamare. Quanto ai richiami, e qui si tratta di indicazioni di estetica e pi poetica più che di suggestioni casuali,più che di ascendenze druidiche o celtiche, ormai buone soprattutto per fine settimana e festicciole sedicenti esoteriche, parlerei ? ma pare lo facciano già le prove offerte da Risso ? dell’irriducibile acosmico dell’anima occitana, del suo rifiuto del mondo e del tempo così come li impongono le concezioni dominanti, a tutto favore di una vita tutta inventata. Si arriverebbe forse in tale maniera al cuore delle poetiche e delle estetiche di Linguadoca o Languedoc che dir si voglia: l’elemento feerico dormiente o fors’anche in agguato dentro quello carnale, o propriamente materico che si risveglia, trasmutando il corso della vita e del respiro”.
“Risso – dice Ivo Vigna – predilige i sassi del Vermenagna, del Vermenera, del Roya, del Maira ma anche quelli del Basimauda. Se li porta in laboratorio, cerca in essi l’ispirazione e inizia a scalpellare, il più delle volte senza disegno preparatorio. Egli è legato alla sua terra, alla sua montagna e da essa ha tratto gli elementi etnico culturali veri ispiratori della sua opera. I mascheroni sono temi cari all’architettura montana medioevale, le “tètes coupés” sono un retaggio pagano di superstizione ma anche di fierezza dei popoli celto-liguri che usavano appendere le teste mozzate dei nemici agli architravi delle case, usanza trasformata dal cristianesimo e fatta propria nelle sculture dei portali delle chiese. Nelle teste e nei mascheroni di Gian vi è una sapienza antica proiettata nel cosmo. Quando la pietra si incontra con l’acciaio o quando un disco “litico” assume le giuste trasparenze dopo una sapiente levigatura, la sua dura materia si trasforma quasi in acqua, ci si può spacchiare, viaggiare virtualmente, magari un po’ turbati dal messaggio magico-ancestrale che inevitabilmente percepiamo”.
Ha partecipato a diverse mostre in Italia specialmente nella provincia di Cuneo e all’estero, soprattutto con una certa frequenza in Germania e Francia). Nell’estate 2013 a Barolo ha tenuto una personale in occasione di Collisioni e nello stesso annoha partecipato alla prima edizione di GrandArte.