Cuneo – “La migrazione è un fatto, non un’emergenza”, lo ribadiscono a gran voce le cooperative sociali e le associazioni del gruppo “Rifugiatinrete” e la rete Europasilo, soggetto nazionale aderente al Tavolo Asilo e Immigrazione.
“In questi mesi- scrivono in un documento congiunto Associazione Spazio Mediazione & Intercultura, CIS, Coop Alice, Coop Armonia, Coop Emmanuele, Coop Fiordaliso, Coop Insieme a voi, Coop Momo, Coop Orso -, le testate giornalistiche hanno più volte riportato notizie relative a un arrivo massiccio di richiedenti asilo in Provincia (e in generale in Italia) e al conseguente affanno della Prefettura nella ricerca di nuovi posti di accoglienza, così come alla dichiarazione di amministrazioni comunali più o meno accoglienti verso gli arrivi o alla preoccupazione dei cittadini circa l’apertura di nuovi centri di accoglienza straordinaria e del loro impatto sulle comunità locali”.
“Siamo di fronte a una nuova emergenza? Il nostro territorio e quello nazionale non sono pronti per l’accoglienza di persone che arrivano da scenari di guerra, disastri ambientali ecc.? – continuano -. Riteniamo che le cause di questa ‘nuova’ emergenza siano da ricercarsi nel quadro delle politiche migratorie nazionali delineato dalle scelte che i vari governi hanno attuato nei confronti dei flussi migratori”.
“La migrazione è un fatto, non un’emergenza – ribadiscono -. Nei primi mesi del 2023 gli arrivi sono aumentati rispetto ai due anni precedenti, ma non hanno toccato i picchi raggiunti nel periodo 2014-2017. In una prospettiva più ampia, i flussi, caratterizzati da andamenti con numeri verso l’alto e verso il basso, sono rimasti costanti, pensiamo all’emergenza afghana, a quella ucraina e così via. Un fatto che dimostra bene quanto sia fallace la tesi del pull factor esercitato dalle navi Ong che soccorrono i migranti e secondo il quale la loro presenza al largo delle coste libiche aumenterebbe le partenze. La cronica mancanza di programmazione continua a rendere emergenziale un fenomeno strutturale e non consente la costruzione di un sistema di accoglienza e integrazione stabile e ordinario sui nostri territori, con conseguenze che si faranno sentire nel medio periodo. Essa obbliga inoltre le Prefetture a farsi carico dei migranti attraverso la predisposizione di accoglienze di emergenza (Cas, centri di accoglienza straordinari) sui territori comunali che – per le logiche di appalto e di costi – finiscono per essere perlopiù centri collettivi dotati di personale non qualificato e caratterizzati da un’impostazione assistenziale piuttosto che d’integrazione, dove l’accoglienza viene di fatto delegata a enti privati.
Per queste ragioni i Cas corrono il rischio di trasformarsi in “strutture alberghiere” dove non ci si prende cura dei bisogni delle persone accolte, che non vengono supportate né dal punto di vista della tutela legale, né da quello dell’accesso ai servizi del territorio: persone richiedenti asilo che, pur assistite materialmente, possono facilmente cadere nella rete dello sfruttamento lavorativo e sessuale o nella grave marginalità. L’emergenzialità indebolisce gravemente il controllo delle accoglienze, lasciando spazio a organizzazioni che poco responsabilmente ragionano soprattutto in termini economici e non di tutela.
Inoltre, la Legge n. 50/2023 (ex decreto Cutro) – voluta dall’attuale governo – impedisce l’ingresso dei richiedenti asilo nel progetto Sai e l’accoglienza di questi ultimi diventa esclusiva gestione del Ministero dell’Interno, salvo le situazioni di vulnerabilità.
L’approccio emergenziale finirà dunque per avverare la profezia così a lungo preannunciata: colpevolizzazione del migrante, aumento della paura nei confronti dello straniero, chiusura delle comunità, indebolimento del diritto di asilo e dei diritti delle persone migranti.
Al fine di dare vita a un sistema di accoglienza e integrazione adeguato alla sfida dei tempi dichiariamo sia importante che:
– i morti in mare non siano più un fenomeno inevitabile ma un evento agghiacciante da impedire sempre e comunque: i confini restano il maggior fattore di disuguaglianza su scala globale;
– ci sia in Italia un sistema unico di accoglienza e integrazione oggi rappresentato dal modello Sai (ex Sprar), “volto a strutturare interventi di inclusione sociale sia per i richiedenti sia per i titolari di protezione, organizzato in strutture di piccole dimensioni, secondo il modello dell’accoglienza integrata e diffusa. La sperimentazione che nel 2002, ossia più di 20 anni fa, ha dato vita allo Sprar si è rivelata un approccio assolutamente efficace che ha saputo coniugare il rispetto per i diritti fondamentali delle persone accolte con un’ordinata gestione del sistema di accoglienza che ha evitato tensioni sociali, sprechi e ha facilitato i processi di reale integrazione”;
– il Sai – ancor oggi un progetto sperimentale e con numeri ridotti (36.684 posti ordinari, 6.299 posti per minori stranieri non accompagnati e 800 per persone vulnerabili) – non sia una scelta facoltativa dei Comuni, ma venga incardinato nel sistema di welfare in modo che le persone migranti possano essere ridistribuite secondo “quote regionali di posti ordinari ripartiti tra ogni regione in proporzione alla popolazione residente”, affinché ogni territorio partecipi responsabilmente all’accoglienza senza squilibri locali o nazionali;
– la presa in carico dei minori stranieri non accompagnati sia riorganizzata per renderla sostenibile a livello economico e a livello di impatto sociale sui territori. Tutto ciò attraverso una stretta collaborazione in ottica programmatoria tra Servizi sociali, amministrazioni locali, Sai e Terzo settore, che potrebbe portare a sua volta alla creazione di soluzioni di buona accoglienza permanenti. La modalità di accoglienza “affido in famiglia” è ancora poco incentivata e non vi è una vera e propria rete strutturata di famiglie accoglienti che, per questo particolare target, necessitano di strumenti e di servizi specialistici per l’accompagnamento del minore affidato;
– alla luce dell’aumento della povertà e della disuguaglianza in Italia, non si fomenti la guerra tra i più poveri ma si costruiscano interventi per favorire l’aumento dei redditi, l’accesso alla casa, alla salute, alla scuola e a un lavoro dignitoso, assicurando pari opportunità per tutti”.
E concludono: “Nonostante questo drammatico scenario politico e sociale le nostre organizzazioni, coinvolte sul fronte dell’impegno e dell’inclusione sociale delle persone in difficoltà, sentono la responsabilità di essere pienamente coinvolte nell’affrontare questi problemi in un’ottica di programmazione e di integrazione tra servizi e attori, così da superare la logica emergenziale che il tempo ha dimostrato essere fallimentare e mettere a disposizione le conoscenze e le competenze acquisite in questi anni di lavoro”.