Cuneo – “Quando iniziò l’emergenza migranti nel 2016 noi eravamo già strutturati, non una cooperativa messa su per l’occasione, e la divisione in tre cooperative ce l’avevano imposta in un’altra provincia per questioni di contratti, noi la mantenemmo per semplificare la parte burocratica, ma ci presentavamo sempre come gruppo”. A parlare è E. A., figura di riferimento per le tre cooperative (Il Tulipano, Casa dell’Immacolata e Immacolata 1892), finito sul banco degli imputati insieme a G. B., G. M. e C. B. altri tre responsabili delle cooperative, con l’accusa di truffa per aver indebitamente percepito il sussidio di 35 euro al giorno disposto dal Governo ed erogato tramite le Prefetture per un totale di circa 300.000 euro, attestando falsamente la presenza dei richiedenti asilo nei centri di accoglienza da loro gestiti mentre questi si trovavano altrove. L’indagine era partita da un’ispezione fatta al centro di Montezemolo, uno dei tanti che le cooperative gestivano in provincia di Cuneo; i militari della Guardia di Finanza, in seguito a una segnalazione anonima, effettuarono un controllo e scoprirono che i migranti indicati come presenti in realtà non c’erano e la struttura sembrava vuota da parecchi giorni. E. A. ha spiegato in aula che i ragazzi erano stati trattenuti a Ceva (dove stavano svolgendo un corso) per via di un’allerta meteo che non consentiva il rientro a Montezemolo: “La Prefettura doveva gestire 3.500 migranti e in casi di emergenza si procedeva con accordi verbali perché era impossibile attendere le autorizzazioni scritte. Quando vennero a controllare a Ceva gli ispettori erano stizziti e non vollero neanche vedere il pulmino che stava per riportare i ragazzi a Montezemolo”. Dalla testimonianza è emerso che i report sulle presenze erano sia giornalieri sia di riepilogo mensile, e che ogni responsabile della struttura fotografava il foglio delle presenze e lo inviava alla sede centrale della cooperativa a Torino che poi inviava il tutto alla Prefettura. “I Centri di accoglienza straordinaria erano una cosa diversa dalle scuole dove si tenevano i vari corsi – ha proseguito E. A. -: nelle scuole mandavamo i ragazzi in base all’etnia e alla lingua. La presenza nel Cas implicava che si fosse presenti per almeno un minuto. Non c’era indennità extra per i corsi che facevano parte dell’accordo con la Prefettura”. La conferma è venuta anche dai vari operatori, mediatori culturali e insegnanti che avevano svolto la loro attività nei vari centri della provincia e che hanno riferito che i richiedenti asilo firmavano il foglio di presenza nella struttura dove erano stati registrati ma non in quella dove andavano a seguire i corsi, come Savigliano dove i ragazzi seguivano corsi di cucina e servizio di sala o Pietra Ligure dove imparavano a fare muretti a secco e giardinaggio. Capitava però che i ragazzi svolgessero attività anche nelle strutture dove erano registrati, come a Valdieri dove erano stati svolti lavori utili alla comunità.
“Succedeva che svolgessero corsi formativi a Savigliano e li accompagnavamo, ma facevano anche lavori socialmente utili in valle – ha riferito uno degli operatori -, da pulizia strade e sgombero neve alla pulizia del cimitero. Quattro o cinque ragazzi sono anche stati assunti in valle. Facevano le partite con la gente del paese e gli era anche stata regalata una maglietta col loro nome. Del vitto e dell’alloggio durante le trasferte per i corsi si occupava la cooperativa”. L’udienza è stata rinviata al 26 ottobre con la deposizione dei testimoni di difesa.