Nel fine settimana, 22 e 23 settembre, papa Francesco parteciperà a Marsiglia ai “Rencontres Méditerranéennes”, iniziativa che mette insieme responsabili religiosi e civili di tutta l’area mediterranea per promuovere percorsi di pace, di collaborazione e di integrazione attorno al “mare nostrum”, con un’attenzione speciale al fenomeno migratorio.
Seconda città di Francia, capoluogo della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra, uno dei principali porti del Mediterraneo, Marsiglia è da sempre terra di immigrazione. Un terzo dei quasi 900 mila abitanti (due milioni se si considera l’area metropolitana) ha più o meno antiche origini italiane, molti sono di origine cuneese.
Ma vi sono immigrati da ogni angolo del Mediterraneo e non solo. Ed un marsigliese su tre è di fede musulmana. Per questo Marsiglia esprime più di qualsiasi altra città la complessità del fenomeno immigratorio in terra europea con le sfide che pone alla convivenza sociale: le grandi questioni politiche, gli scontri, le tragedie, che sono oggi al centro dell’attenzione. Ed è questa la ragione che spinge papa Francesco a partecipare ai “Rencontres Méditerranéennes”. A dieci anni esatti da quando all’esordio del suo pontificato, era l’8 luglio 2013, sorprese il mondo intero con una visita a Lampedusa, isola simbolo del dramma dei migranti, dove il 3 ottobre erano morte 368 persone in un naufragio che resta il più grave mai registrato nel Mediterraneo.
Da allora, la situazione dei migranti che attraversano il Mediteranneo, non solo non è risolta ma sembra peggiorata, completamente fuori controllo, come racconta la cronaca quotidiana. Il flusso migratorio continua, così i naufragi e le morti in mare. L’Europa non è stata in grado di sviluppare le politiche di accoglienza e di contenimento sempre promesse e mai attuate. In ultimo, sulla spinta di forze sem- pre più apertamente razziste e xenofobe, stanno riprendendo vigore, soprat- tutto in Italia, le politiche più dure di respingimento e di negazione dell’accoglienza.
Di fronte a questo stato di cose, a Marsiglia, città profondamente segna- ta dalle problematiche sociali causate dall’immigrazione, si cercano vie nuove e percorribili.
Marsiglia è un “porto di speranza”, ha detto il Papa. Ma quali speranze?
Ai “Rescontres” ci saranno vescovi marocchini, tunisini, algerini, albanesi, turchi, croati, greci, ciprioti, spagnoli, ucraini e armeni. Insieme per cercare vie e modalità nuove per affrontare le grandi problematiche migratorie. Ma anche per parlare alla politica, al mondo economico e al mondo della cultura.
Figura di riferimento in questo confronto, è il cardinale di Marsiglia, Jean-Marc Aveline. 64 anni, figlio di immigrati, prima dalla Spagna all’Algeria poi dall’Algeria a Marsiglia, che hanno vissuto e sofferto sulla loro pelle gli stessi drammi dei migranti di oggi, Aveline è descritto come uomo di grande cordialità, sensibilità e intelligenza. Ed è lui stesso a mettere in chiaro qual è la ricerca su cui la Chiesa tenta nuove strade.
“Con la sua pluralità culturale e religiosa unica – ha spiegato Aveline a La Croix – Marsiglia è l’ultima grande città cosmopolita. Alessandria, Istanbul, Beirut, Il Cairo lo erano, ma non lo sono più. Marsiglia è un “messaggio” che invia al mondo l’immagine della convivialità possibile, dell’unità della famiglia umana e della dignità delle persone. Vedo soprattutto un messaggio di speranza: l’idea che lavorando insieme si possono superare le difficoltà”.
La Chiesa – secondo Aveline – vive la realtà complessa e difficile di tutti quanti. Ma è animata da una visione profetica: “una terza via tra l’irenismo fino ad ora predominante e quella aggressiva dei cattolici più conservatori, per tenere conto di quelli che vivono a fianco dei migranti nelle banlieu, nei quartieri a rischio”. Una visione che invita i cristiani alla “prossimità” .
“Chi insiste nel dire che si deve accogliere senza limiti – ha dichiarato in una recente intervista a Franca Giansoldati su Il Messaggero – non vive di certo nei quartieri di tante città segnate da un alto tasso di disoccupazione, spaccio di droga, degrado, assenza di sicurezza. Bisogna evitare i discorsi ingenui. È pericoloso. Nello stesso tempo, ovviamente, occorre sfuggire al rischio di criminalizzare il migrante che fugge come se fosse la causa di tutti i mali universali. Anche in questo caso è frutto di una visione distorta, spesso di una strumentalizzazione elettorale. Penso che per i cristiani vi sia una terza via da seguire, che è quella della linea profetica di attuare la prossimità. Individuare il bene comune, cercare un’armonia con il tutto”.
Una ricerca che tuttavia non rinuncia al rifiuto di ogni discriminazione: “I migranti non devono essere scelti in base alla religione o al titolo di studio”, o la richiesta alla politica e all’economia di un impegno molto più incisivo per “assicurare a tutti il diritto a non emigrare, vale a dire la possibilità di vivere in pace nella propria terra”.
Foto Vatican Media SIR