È certamente inusuale considerare una diga alla stregua di un’opera d’arte. Eppure l’autore, appassionato “dighista”, non già tecnico, proprio su questa prospettiva intende lavorare. Non a caso premette un’introduzione in cui brevemente disserta sul tema del bello mettendolo in stretta relazione, coincidente addirittura, con il ben fatto. Un paesaggio è bello perché risulta piacevole alla vista, armonicamente strutturato, cioè ben fatto. Di qui al manufatto il passo è breve. Il concetto di creazione, artistica o artigianale, ribadirebbe tale convergenza intorno al bellezza.
La diga rientra nel bello artificiale. È su questo terreno che l’autore si rende conto di dover subito fare chiarezza sulla scottante questione dell’impatto ambientale. È consapevole infatti che “si tratta di creare qualcosa di imponente dove prima non c’era, un elemento geografico nuovo e importante: un lago, in mezzo a montagne i cui versanti non erano mai stati sommersi prima”. Nonostante ciò sottolinea l’aspetto estetico di questo paesaggio modificato.
Dunque, una sfida tecnica, ma anche una sfida culturale in quanto lo sbarramento costituisce un ulteriore elemento nel rapporto tra l’uomo e l’ambiente che comporta la responsabilità del primo nei confronti del secondo.
Luca Rota riconosce che “la diga è un oggetto alieno al paesaggio”, ma muovendosi sul piano estetico, sostiene che all’invasione segue un dialogo con lo stesso paesaggio che prima “subisce, poi tollera, poi accetta, infine addirittura assimila e fa proprio” il gigantesco manufatto.
È il “miracolo” della diga per cui da un lato c’è l’accettazione dell’artefatto e dall’altro la nascita di uno scenografico lago. Ed è su questo delicato equilibrio che si sviluppa l’intero lavoro di Luca Rota consapevole che è terreno minato, esposto facilmente alle polemiche.
Il miracolo delle dighe
Luca Rota
Fusta
17,90 euro