Fossano – Se i cavi d’acciaio che tenevano insieme le sei campate del viadotto di Fossano fossero stati correttamente protetti dalla boiacca (miscela di cemento, acqua e additivi) all’interno delle guaine che li contenevano fino riempirle completamente, il viadotto di Fossano non sarebbe crollato. La mancanza della boiacca, che avrebbe dovuto ricoprire e proteggere quei cavi, ha portato alla corrosione e al crollo spontaneo della struttura il 18 aprile 2017; in quel momento, fortunatamente, non transitavano veicoli sul viadotto e i Carabinieri che avevano parcheggiato la vettura di servizio sotto le campate del ponte per il servizio di controllo stradale, erano fuori dall’abitacolo e scamparono miracolosamente al crollo. Per quel disastro sono state rinviate a giudizio dodici persone, fra responsabili e operai delle ditte appaltatrici della costruzione e manutenzione e dipendenti dell’Anas incaricati del controllo sullo svolgimento e manutenzione dell’opera.
Nel corso dell’ultima udienza l’ingegner Luca Giordano, consulente della Procura, ha evidenziato che gli otto cavi della campata avevano mancate iniezioni di boiacca per circa un terzo della lunghezza ed erano stati lentamente corrosi dall’ingresso dell’acqua nei tubi di sfiato e di iniezione, proprio quelli che dovevano servire per le iniezioni di boiacca e che invece erano rimasti vuoti permettendo all’acqua di arrivare fino ai cavi. Alla domanda se questo problema fosse percepibile dall’esterno nei vari sopralluoghi eseguiti prima del 2017, l’ingegnere ha risposto che le colature bianche che si vedevano in certi punti sotto la campata erano carbonato di calcio determinato dallo scioglimento della boiacca da parte dell’acqua a contatto con l’aria ricca di anidride carbonica dei gas di scarico dei veicoli. Le fioriture c’erano dove era stata iniettata la boicacca ma, paradossalmente, erano assenti dove la boiacca non era stata iniettata e dove poi avvenne il crollo. Problemi che però sarebbe stato in grado di notare un tecnico con qualifica superiore a quella di un cantoniere. L’intervento del 2006 (oggetto del terzo troncone di indagine) aveva come oggetto il giunto di dilatazione che permette l’allungamento o accorciamento della struttura in base alla temperatura e la successiva pavimentazione, che però non sarebbe stata realizzata correttamente con profili d’acciaio che indirizzassero l’acqua verso l’esterno. Difficile stabilire, secondo il consulente dell’accusa, quando siano iniziati i problemi di corrosione, se da subito o dopo l’intervento di manutenzione del 2006, ma probabilmente se l’infiltrazione d’acqua avesse iniziato la sua azione corrosiva da subito, il ponte sarebbe crollato prima del 2017. A controbattere alle conclusioni del consulente della Procura saranno gli esperti chiamati dalle difese, che verranno ascoltati nelle prossime udienze a partire da ottobre.