Cuneo – Ogni anno in Piemonte vengono allevati e destinati al circuito delle Dop, in primis per le filiere del Prosciutto di Parma e Prosciutto di San Daniele, circa 1,3 milioni di suini. Numeri che nel corso del 2022 hanno registrato una considerevole contrazione, soprattutto a causa dei rincari delle materie prime (mais e soia) che fanno lievitare i costi di produzione.
Nel circuito delle Dop sono stati macellati circa 5,91 milioni di suini, il 4% in meno rispetto allo stesso periodo 2021 (6,17 milioni). Nel complesso, una minor offerta di suini pesanti da destinare alle Dop conferma l’attuale clima di incertezza per il comparto. In calo anche il peso medio dei suini, sceso a 169 chili.
Sul fronte del mercato, dopo aver registrato il punto più basso a fine febbraio, i prezzi dei suini sono progressivamente aumentati e, a parte la flessione di maggio, sono arrivati a posizionarsi al di sopra dei 2 euro al chilo. Prezzi che, in annate “normali” sarebbero stati molto positivi, mentre in un contesto come quello attuale consentono agli allevatori di pareggiare solo in parte le perdite accumulate nei mesi precedenti.
Il 2022 sarà anche ricordato come l’anno in cui è giunta la Psa (peste suina africana) in Piemonte, con il primo caso di Psa in una carcassa di cinghiale rinvenuta nel territorio comunale di Ovada (Alessandria). Sono state attivate tutte le misure di emergenza, dalla definizione dell’area infetta alle restrizioni, ma non sono mancate, soprattutto nelle settimane successive alla conferma del focolaio, le strumentalizzazioni da parte di alcuni macelli che pretestuosamente hanno sospeso i ritiri di suini da allevamenti piemontesi. Superata la prima fase emergenziale, oggi si assiste purtroppo a un rallentamento dell’attuazione del piano di eradicazione della Psa.
Per quanto riguarda il comparto avicolo da carne l’annata agraria è stata contraddistinta da due importanti fattori: l’influenza aviaria e l’aumento dei costi di produzione. L’epidemia di influenza aviaria ad alta patogenicità (Hpai) ha colpito drasticamente il Nord Italia, con abbattimenti negli allevamenti, restrizioni sulle movimentazioni e vincoli post focolaio.
Questo importante ridimensionamento dell’offerta nazionale ha spinto al rialzo le quotazioni del mercato: ne hanno beneficiato anche gli allevamenti piemontesi (circa 350 con 6,6 milioni di capi).
Nel corso dell’annata i prezzi si sono progressivamente stabilizzati, posizionandosi su livelli di mercato ancora soddisfacenti. Anche per l’allevamento avicolo da carne, però, ha pesato l’aumento dei costi di produzione.
I rincari delle materie prime e dell’energia hanno portato a un raddoppio dei listini dei mangimi, voce di spesa fondamentale per la sostenibilità del comparto.
Anche per la produzione di uova, l’annata agraria è stata particolarmente difficile. Al pari del comparto carne, si è verificata un’offerta nazionale ridotta, dovuta all’influenza aviaria e a una ripresa generale dei consumi, dopo due anni di restrizioni dovute alla pandemia da Covid.
Nonostante i produttori abbiano evidenziato, a più riprese, un mercato dinamico e pressoché con un trend al rialzo e un’offerta limitata di uova, solamente a partire dal mese di agosto la Commissione unica nazionale Uova in natura da consumo ha registrato progressivi aumenti.
Al pari del comparto carne, il settore uova ha sofferto gli aumenti dei costi di produzione, dal mangime all’energia; solamente negli ultimi due mesi dell’annata agraria, con i recenti adeguamenti dei prezzi riconosciuti dal mercato, si è iniziato a intravedere, seppur in minima parte, una lieve marginalità.
In Piemonte sono presenti circa 270 allevamenti, per un numero complessivo di 2,16 milioni di capi in deposizione.
Su spinta di alcuni produttori, nei mesi scorsi è stato riattivato il Coavip (Consorzio avicolo piemontese), portando alla creazione di una rete di scambio di informazioni tra i produttori. Attualmente è in costruzione un “borsino” delle uova con l’obiettivo di ottimizzare la produzione regionale e collocare eventuali surplus evitando sprechi.
Il settore cunicolo, invece, ha iniziato l’annata agraria 2022 con quotazioni soddisfacenti ben superiori ai riferimenti storici degli anni passati per poi avviare da gennaio un progressivo crollo dei prezzi, toccando il minimo di 1,61 euro al chilo, che si è arrestato solo nel luglio scorso. Dalla prima metà di luglio in poi ha gradualmente registrato un aumento che ha portato a sfiorare, a fine ottobre, i 3 euro al chilo, per la carenza di prodotto sul mercato. A inizio 2023, però, una “mazzata” sul comparto: nell’arco di un mese gli allevatori hanno perso quasi 70 centesimi al chilo, perché il prezzo dei capi è passato da 2,90 a 2,21 euro al chilo, con una riduzione di circa il 25% a scapito dei produttori, mentre i costi di produzione si attestano intorno a una media di 2,40-2,50 euro al chilo. Come tutta la zootecnia, il comparto vive un momento difficilissimo, con gli aumenti spropositati di materie prime, energia e mangimi.
Nella nostra regione sono presenti circa 280 allevamenti con 2,11 milioni di capi, concentrati soprattutto in provincia di Cuneo.