Tra le possibili opzioni per analizzare il tema della povertà, Giuseppe Angelillis sceglie di appoggiare le proprie considerazioni su dati statistici e sulle dinamiche sociali ed economiche. Pur non pretendendo di offrire soluzioni, ritiene che primo passo nella lotta contro la povertà sia la conoscenza del contesto in cui si opera nei suoi aspetti storici, legali e culturali.
L’autore non apre a un discorso sulla situazione a livello mondiale, bensì restringe lo sguardo alla società italiana. I recenti sviluppi delle politiche di protezione sociale parallelamente alle trasformazioni economiche e produttive sono quindi affrontati con spirito analitico evitando i pericoli dello schieramento politico pur riferendosi alle strade che i governi hanno perseguito nel corso delle ultime legislature.
Un primo passo di inquadramento ha carattere storico-culturale. Angelillis delinea rapidamente i modi di approcciarsi alla povertà muovendo dall’Antico Testamento fino ad arrivare all’età moderna. Un cammino che pone la questione nei termini di rapporti tra possidenti e poveri. Difficilmente il lessico usato ricorre alla parola “ricco”. La questione prima che in termini monetari si pone come condizione che coinvolge l’intera esistenza, interpella l’idea di giustizia sociale e, nel progredire storico, si manifesta nel tessuto sociale in relazione al concetto di lavoro.
Dall’età moderna si afferma “un’etica dell’efficienza”. In quest’ottica di produttività a ogni costo, chi è escluso dal ciclo di produzione, non rientra quindi nel sempre più numeroso gruppo sociale della manodopera, si trasforma presto in “fantasma”. “Il lavoro definiva l’identità sociale e l’autostima”, per contro l’assenza di lavoro relega ai margini della comunità. Una situazione che è all’origine delle tensioni sociali che impongono allo Stato un intervento di sostegno.
Sul finire del secolo scorso, poi, la povertà si è allargata agli occupati creando quel nutrito gruppo sociale che sono i “lavoratori poveri, ovvero coloro che hanno un lavoro ma non riescono a soddisfare pienamente i loro bisogni per via dei bassi salari”.
Di fronte a questa realtà, acuita dalle crisi economiche, lo Stato ha approntato strategie per affrontarla. Angelillis entra così nella parte più tecnica del saggio presentando la questione del “reddito minimo” e del più recente reddito di cittadinanza. In particolare fa notare come la politica di protezione sociale è stata sollecitata dalla “lobby dei poveri”, laddove il termine, privato di sfumature negative, indica un gruppo di pressione per raggiungere uno scopo. Questa lobby è identificata nell’Alleanza con la Povertà, fondata nel 2013 da Acli e Caritas, cui si sono aggiunte associazioni e organismi del terzo settore, cioè “un soggetto esterno alla politica dedito a un’attività di pressione nei confronti delle diverse forze in essa coinvolte, del Governo e del Parlamento affinché compissero scelte a favore dei poveri”.
Le conclusioni cui arriva il saggio non sono, a dir il vero, confortanti. Non è in questione il reddito di cittadinanza, ma il modo con cui il Governo ne affronta le criticità a cominciare dai Centri per l’impiego. Non enfatizzare l’impegno sui controlli, ma elaborare strategie di accompagnamento perché “molti beneficiari del reddito di cittadinanza hanno bisogno sì dei soldi, ma anche di sentirsi utili alla comunità”. Si tratta di mettere a tema la mancanza di posti di lavoro rimettendolo al centro come strumento di “identità sociale e autostima”.
POVERTÀ. ASPETTI STORICI, TEOLOGICI, LEGALI E IL CASO ITALIA
di Giuseppe Angelillis
Editrice Il cielo stellato
16 euro