Claudio Sardo nasce nel 1951, a Cuneo dove attualmente vive e dove ha sempre lavorato. Si appassiona alla pittura durante il servizio militare ed inizia a esporre nel 1977 in numerose mostre in Italia e all’estero. La riservatezza del suo carattere, la calma riflessività che lo contraddistingue si riflettono nelle sue opere (ritratti, animali, piante ecc.), evidentemente tese ad una spoliazione del superfluo, del vano, dell’inutile per arrivare all’essenzialità. L’esito è una pittura piatta, quasi giottesca o che rimanda a un certo Carrà.
“Figlio della migliore tradizione figurativa italiana – scrive Simone Fappani – è autore di un percorso artistico nel quale è facile cogliere un’indole narrativa autentica e profonda, capace di cogliere la realtà con compiuta capacità di sintesi. Una pittura, la sua, che come spiegano con chiarezza i suoi più attenti studiosi, procede secondo momenti creativi fatti di una riflessione, attenta e assai perspicace, del vivere. Infatti, Claudio Sardo ama soffermarsi sulla fatica del lavoro dei campi, sui giochi dei bambini… anche in una dimensione spirituale che, non raramente, gli offre la possibilità di dare vita a quadri d’intonazione religiosa, ove si possono notare accenti ritmici di notevole spessore narrativo. Così facendo, l’artista ha il coraggio di confrontarsi col quotidiano attraverso la pittura, ove ravvisiamo un segno deciso ed essenziale e un colore che, per morbidezza, offre all’osservatore una sorta di infinita gamma di stimoli ‘tattilo- visivi’”.
“Il suo “racconto artistico” – aggiunge Franco Varengo – sul vivere, sulla natura, questa ricerca sul senso delle cose, nelle loro vibrazioni esistenziali, che aveva sempre privilegiato l’uso diretto e spregiudicato della sensibilità e dell’immediatezza del segno, lo porta ad una esigenza nuova: cogliere qualcosa che non sia la “caducità” delle cose, ma di queste ne indichi la “durata”, la universalità di lettura o forse “l’anima” stessa, ossia il massimo della profondità. E dopo una serie di “espressioni” che raccontavano il “doppio degli esseri” dove l’immagine veniva ripetuta nel quadro su un doppio piano, ad indicare il livello consapevole/reale e quello inconsapevole del desiderio, ecco l’arrivo di straordinari ritratti dove il segno investito della prepotente sensibilità dell’autore si riequilibra su se stesso, alla ricerca della sua più intima possibilità rappresentativa che sia raccoglibile in una “forma vitale” che ne racconti l’essenza oltre ogni durata, come estrema raffigurazione/conoscenza della cosa; come quel qualcosa che in rara forma di plasticità “spirituale”, resta per sempre”.
Oggi è attivo soprattutto come scultore dove la verità della bellezza si rivela dal profondo, da stratificazioni di materiali esplorati. Scrive nella presentazione: “La superficie è troppo facile, leggera, ingannevole, posticcia, come simbolicamente l’agire umano. Da grandi materiali naturali, tronchi, radici, un lunghissimo, metodico paziente lavoro di purificazione, come attesa lenta di nascita sofferta fino allo splendore della bellezza di un oggetto, non dimentico del materiale sacrificato, col tempo la cui durata si vivifica nella profondità del lavoro di spoliazione del superfluo per una creazione autentica. Animali, piante, persone appaiono splendenti e severe nella loro realtà, ma è uno splendore di solitudine come se molteplici bellezze stessero aspettando nella loro solitudine, un’atmosfera umana che le metta in relazione, per un vivere, dove lavori profondi su di se e sulle cose, portino finalmente ad un mondo liberato dal vano apparire, possedere, per essere consistente bellezza che gioca con la vita”.