Cavallermaggiore – Si è concluso con una condanna a otto anni di reclusione il processo a carico di S. H. cittadino indiano, in Italia dal 2012, accusato di violenza sessuale e maltrattamenti alla moglie che lo denunciò nell’aprile 2020, in piena emergenza sanitaria, prostrata dai continui maltrattamenti del marito perché non riusciva a dargli un figlio. La coppia si era sposata in India otto anni prima e lei lo aveva raggiunto in Italia solo da due anni. Oltre alla frequentazione di un corso di italiano, poi sospeso a causa del Covid, la donna viveva sostanzialmente isolata da tutti, alle prese non solo con i problemi personali di salute che le impedivano di avere figli, ma anche con le ingiurie, le percosse e minacce del marito che sempre più spesso tornava dal lavoro ubriaco, come testimoniato da alcuni video che lei stessa realizzò col telefono poco prima della denuncia. Quando nell’aprile 2020 i Carabinieri intervennero a casa della coppia, trovarono la donna agitata che mostrava i polsi arrossati e descriveva di essere stata strattonata violentemente. Le forze dell’ordine attivarono il protocollo antiviolenza, la donna fu condotta in ospedale dove le vennero diagnosticate lesioni guaribili in sette giorni e poi fu condotta in una casa protetta. La signora denunciò il marito anche per un atto di violenza sessuale e da quel momento, ferma la sua volontà di non tornare più dal coniuge, iniziò un percorso per rendersi autonoma. Per l’accusa le testimonianze delle poche persone che avevano incontrato la donna prima e dopo la denuncia avevano provato il quadro accusatorio di forte sofferenza della donna: per questo è stata chiesta la condanna a sei anni e tre mesi di reclusione. La conclusione della Procura della Repubblica è stata condivisa dalla parte civile – con una richiesta risarcitoria di 50.000 euro -, che ha sottolineato anche la difficoltà psicologica della donna nel denunciare i maltrattamenti, tanto che già nel 2019 era andata al pronto soccorso con 30 giorni di prognosi dicendo che era caduta in casa. Secondo l’accusa invece non c’era stata alcuna prova di violenza sessuale né di maltrattamenti in famiglia, ma solo le dichiarazioni della parte offesa che erano state accolte dall’accusa come unico elemento di prova. Secondo la difesa di S. H., la donna arrivando in Italia si era forse aspettata una vita diversa da quella che si era trovata a fare e non avendo alcun tipo di risorsa personale per potersi mantenere, avrebbe trovato in questo modo una soluzione alternativa: un alloggio protetto per più di un anno, la possibilità di imparare l’italiano e conseguire la licenza media. Secondo il collegio dei giudici però le accuse nei confronti dell’imputato erano state ampiamente provate tanto da accogliere la richiesta di condanna aumentando la pena a otto anni e due mesi per i reati di violenza sessuale e maltrattamenti e concedendo alla parte civile una provvisionale risarcitoria di 25.000 euro.