Cuneo – Due rapine, una tentata e l’altra consumata, messe a segno a pochi minuti di distanza l’una dall’altra in una serata di piena estate nel centro di Cuneo. Con quest’accusa è stato processato al tribunale di Cuneo A.H. giovane di origini marocchine per i fatti avvenuti intorno alla mezzanotte del 20 agosto 2020 in via Fossano. Insieme a lui era stato rinviato a giudizio anche F.B. che aveva scelto di patteggiare la pena di 1 anno e 7 mesi di reclusione e 600 euro di multa ed è uscito dal processo. Entrambi i ragazzi avevano risarcito le due vittime prima che iniziasse il processo.
La prima vittima della banda composta da alcuni giovani poco più che ventenni è stata una donna aggredita mentre rientrava a casa, “avevo sorpassato un gruppetto di ragazzi e mi sono sentita seguire da uno di loro, aveva una bandana e occhiali da sole, mi ha preso il cellulare e ci siamo strattonati perché voleva la mia borsa, ho gridato aiuto, c’era gente che passava ma nessuno mi ha aiutata, poi è intervenuto un agente di Polizia Penitenziaria”. Ascoltato in aula l’agente ha confermato di aver sentito delle urla provenire dalla strada mentre si preparava per il turno di lavoro e quando è sceso aveva visto la donna che chiedeva aiuto, “era bloccata spalle al muro da questo gruppetto che la circondava, quello che le stava davanti diceva di non preoccuparmi, che era la sua ragazza e stavano solo litigando ma io mi sono interposto progettandola col mio corpo e ho spostato la bandana dal volto del ragazzo. Sulla parte destra del collo aveva un tatuaggio. Dietro di lui c’era un altro ragazzo con una camicia a fiori e un cappelletto bianco”. Fu proprio grazie a questi dettagli che F.B. e A.H. fermati poco dopo mentre si aggiravano ancora per le vie del centro, vennero individuati e segnalati, non prima però di aver messo a segno, questa volta riuscendoci, un’altra rapina ai danni di un signore che stava rientrando a casa in via Amedeo Rossi. Il gruppetto si avvicinò correndo e qualcuno diede una botta in testa all’uomo che cadde, “sono caduto e non ricordo più niente – ha riferito in aula l’uomo – ricordo che uno di loro aveva una camicia a quadri e capelli folti e lunghi. Mi hanno preso il borsello con dentro il cellulare e gli occhiali”. In aula l’uomo non è riuscito però a riconoscere il giovane che quella sera indossava la camicia a fiori, così come il ragazzo non è stato riconosciuto neanche dall’agente di polizia penitenziaria che ricordava di lui solo l’abbigliamento. Ed è su questa incertezza nella piena identificazione di A.H che l’avvocato Leonardo Roberi ha basato la sua richiesta di assoluzione dell’imputato, rinviato a giudizio “solo perché quella sera indossava una camicia a fiori”, mentre facendo leva sulle dichiarazioni dei testimoni dell’episodio di cui era stata vittima la signora, il pubblico ministero ha chiesto per l’imputato una condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione e una multa di 1500 euro. Di diverso avviso è stato il collegio dei giudici che ha accolto i rilievi della difesa assolvendo l’imputato per non aver commesso il fatto.