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Venerdì 22 novembre 2024

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Morì travolto da materiale in cava, al processo le perizie tecniche

La morte di Danilo Dalmasso alla Sibelco fu dovuta a errore umano, imperizia, negligenza? Il confronto tra le parti in tribunale

La Guida - Morì travolto da materiale in cava, al processo le perizie tecniche

Robilante – È stato un errore umano o c’è stata imperizia e negligenza da parte dell’azienda che non aveva messo in atto tutte quelle precauzioni necessarie a evitare che si verificasse un incidente? Ruota intorno a queste domande il processo che si sta svolgendo al tribunale di Cuneo per far luce sulla morte di Danilo Dalmasso, l’operaio travolto da una frana il 2 marzo 2019 mentre stava prelevando, con la pala meccanica, materiale siliceo dal cumulo invernale presso lo stabilimento Sibelco dove lavorava per conto della ditta Dovero di cui era dipendente. Dell’incidente che causò la morte di Dalmasso, la Procura presso il tribunale di Cuneo ha chiamato a rispondere i titolari delle due aziende, F. S. ed E. D., e V. C., dipendente della Sibelco e referente per le operazioni di prelievo del materiale dal cumulo invernale. Secondo il perito dell’accusa, prof. Claudio Oggeri, in base ai calcoli sulla coesione del materiale e la geometria e altezza del cumulo quell’evento era prevedibile come fenomenologia ma non come istante: “L’angolo della scarpata era superiore all’angolo di riposo e se ci si trova entro il limite di deposizione non c’è scampo”. La soluzione secondo il perito dell’accusa sarebbe stata quella di realizzare cumuli meno alti in spazi più ampi utilizzando più caditoie, e cercare poi di scapitozzare il cumulo con prelievi dall’alto, creando un passaggio laterale che permettesse di approcciare in maniera diversa il cumulo utilizzando anche benne a lungo braccio. Secondo i periti delle due difese invece l’altezza del cumulo non aveva influito in alcun modo sul tragico incidente di quel giorno, dovuto, secondo i professori Rosario Manassero e Mario Barla, a un errore di Dalmasso che invece di procedere in linea cercando di mantenere il fronte il più possibile omogeneo, avrebbe prelevato più volte in uno stesso punto, fino a un avanzamento, secondo i calcoli esposti dal prof. Mandassero, di circa sei metri verso il cumulo, creando una specie di nicchia che ha superato l’angolo di riposo franando a terra. È stato proprio il calcolo sulla posizione del mezzo dopo la frana, traslato dallo spostamento del materiale, a portare il professore alla conclusione che al momento dell’incidente quel mezzo si trovava più dentro, oltre il limite dell’angolo di riposo: “Se avesse operato correttamente non avrebbe fatto avanzamenti superiori al metro e mezzo ed è proprio l’avanzamento lineare così come esposto nel documento di valutazione del rischio dell’azienda a eliminare il rischio che invece c’è nelle escavazioni dall’alto laddove sono molto più frequenti le cadute dei mezzi meccanici”. Una tesi condivisa dal prof. Mario Barla che ha aggiunto come l’altezza di 30 metri del cumulo fosse assolutamente ininfluente su quanto accaduto perché in base ai calcoli effettuati, anche con un’altezza molto inferiore, avanzando di sei metri in profondità e aumentando il fronte di instabilità, il mezzo sarebbe stato sepolto ugualmente: “Con uno scavo lineare si provocano solo collassi locali mentre con uno scavo in profondità il collasso è globale”. Conclusa con le deposizioni dei periti la fase istruttoria, il processo è stato quindi rinviato al 12 settembre per la discussione.

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