È positiva l’intransigenza cui fa appello don Luigi Sturzo nel 1919 allorché organizza un partito politico in cui i cattolici possano riconoscersi. È quell’intransigenza che non scende a compromessi con i due schieramenti opposti, liberali e socialisti. A cento anni dalla fondazione del Partito popolare, Guido Bodrato ritiene utile tornare a riflettere su questo avvenimento che definisce come il momento della “grande transizione dei cattolici dall’intransigenza clericale e dall’impegno sociale ad una presenza politica”.
Nel primo Novecento le masse diventano soggetto sociale capace di imporsi all’attenzione delle forze politiche sospinte dalla rapida industrializzazione di molte zone. Anche in altre a economia agricola, come parte del Piemonte, la popolazione contadina non nasconde simpatie per il Partito socialista. Avvicinamento che preoccupa l’ala liberale che cerca alleanze capaci di garantire in vista delle elezioni politiche del 1913.
A fronte di queste trasformazioni in ambito ecclesiale emergono tentativi di risposta alle nuove problematiche. Il cattolicesimo sociale, sorretto dalla “Rerum novarum”, richiama a un impegno tra le masse di diseredati. Un’attenzione che, in chiave politica, comincia a dar voce a esigenza di tipo democratico, in attesa che un soggetto politico strutturato se ne faccia portavoce in Parlamento.
D’altro lato la Chiesa viveva un momento di tensioni interne tra fautori di un rinnovamento del cattolicesimo e tendenze conservatrici. Si sente sempre più fuori luogo il “non expedit” di Pio IX, ma il superamento definitivo con le elezioni del 1913 è espressione di una posizione ancora difensiva: “votare i liberali per far argine all’onda socialista”.
In tale contesto la proposta di Luigi Sturzo per costituire un partito politico si pone come alternativo ai due schieramenti, ma anche suscita perplessità nell’ala più conservatrice. Guido Bodrato sintetizza con efficacia lo spirito con cui don Sturzo detta le basi del nuovo soggetto: “la morale è la radice della buona politica, il fine dello Stato è la persona, la democrazia non è solo regole, ma cultura e coscienza”. È un partito che si misura con i mutamenti in atto, non per “rifluire in una presenza elettorale interessata a difendere gli interessi della Chiesa”, ma lavorare per la concordia tra Stato e Chiesa, evitando i “trasformismi”. Secondo l’autore, è questa posizione di alternativa a meglio qualificare l’impegno di don Sturzo. Accanto a una cultura cattolica con una forte presenza nel sociale, specie a Torino, ritiene giunto il momento di avere una rappresentanza in Parlamento.
La tentazione nelle masse di un capo carismatico, di cercare “sicurezza più che libertà”, è ben chiara nel sacerdote. Per questo richiama all’esigenza di un cammino di maturazione democratica che sostenga la partecipazione consapevole.
È chiara così la preoccupazione dell’autore: cogliere di quel momento lo spirito consegnandolo all’oggi perché “quel passato, di qualunque colore, non è del tutto passato e può essere ripensato, potrebbe riproporsi anche se in un contesto radicalmente cambiato”.
Le stagioni dell’intransigenza
Guido Bodrato
Celid
15 euro