Il laconico avvertimento “ogni riferimento a fatti e persone reali è da considerarsi puramente casuale” è dovuto, certo non sentito intimamente. Il 5 e 6 novembre 1994 segna così profondamente la valle Tanaro che, far vivere i personaggi di un romanzo in quell’ambiente, non può che risolversi in un confronto con il drammatico reale, senza potersi scrollare di dosso un’intima adesione a quelle persone che le hanno vissuti.
È così che i personaggi, a cui ricorre Graziella Dotta per raccontare quei giorni, raramente riescono a staccarsi dalla realtà, a vivere una loro storia di finzione. La scelta di scrivere sempre al presente rende partecipe del concitato clima che va crescendo con il salire e l’esondare delle acque. Ogni personaggio è una storia vissuta con assoluta immediatezza, perché in quelle ore l’agire sembra prendere il sopravvento sul pensare.
Non c’è tempo per rivisitare il passato. Per un attimo solo emerge nella mente di Giacomo per constatare che la sua casa non dovrebbe essere lì, però “erano anni diversi”. Come l’acqua che travolge ogni cosa, il presente si impone. Il tempo dei ricordi sarà più avanti: ora tutto è concentrato sull’esperienza che si sta vivendo, raccontata con taglio quasi da cronaca.
Tra le righe dei racconti sembra di percepire un senso di incredulità di fronte alla devastazione del Tanaro. In fondo è sempre stato un amico “tante volte ha minacciato, ma mai è stato traditore”. Un’intera comunità, distesa lungo i chilometri del fiume da Ormea fino ad Alba, d’improvviso si sente tradita. Lo dice chiaro Lorenzo. Prima Livio era stato più tenero “E impossibile quello che sta succedendo”. È lo smarrimento che prende Giacomo, quando, dopo rifiutando con fermezza di abbandonare la casa che aveva costruito, deve ricredersi e chiedere scusa alla moglie.
Sono una manciata di persone che vivono questi giorni in punti diversi della valle, ognuno a modo suo carico del proprio fardello di affetti cui aggrapparsi per affrontare la situazione. Eppure quel che per circa metà del libro sembra essere un collage di racconti, va lentamente trovando la sua direzione unitaria. Gli indizi sono disseminati: una copia di “La luna e i falò” persa a Ormea e ritrovato ad Alba, il carabiniere che fa da collante tra storie diverse.
È il senso di comunità che attraversa tutto il romanzo e si manifesta in gesti di solidarietà, di aiuto incondizionato anche a rischio della vita perché l’acqua sembra aver spazzato via anche i dissidi. Esploderà nella seconda parte quando lo stile cambia e a ogni personaggi è riservato un breve capitolo per scoprire che quell’intrecciarsi di vite nel 1994, negli anni successivi ha portato i suoi frutti. L’autrice può riservarsi così un piccolo colpo di coda, svelando nell’epilogo il gioco della finzione perché la vita incalza e finalmente consente di riappropriarsi del futuro.
Ciò che rimane
Graziella Dotta
Primalpe
15 euro