Envie – Sono richieste di condanna pesanti quelle avanzate dal pubblico ministero Anna Maria Clemente al termine del processo per truffa e furto in cui sono imputati L. M., A. L., M. M. e L. G., tre uomini e una donna residenti nel vercellese, accusati di aver truffato e derubato don Adriano Calandri, l’anziano parroco di Occa, frazione di Envie, deceduto nel 2021. I fatti risalgono al dicembre 2017, quando alcune persone si presentarono a don Calandri come addetti al controllo delle fughe di gas. L’anziano parroco li accolse nell’ufficio della canonica; in quell’occasione i falsi addetti riuscirono a carpire utili informazioni per mettere a segno il furto del 7 dicembre successivo, nel corso del quale rubarono poche centinaia di euro in contanti ma soprattutto numerosi assegni da un blocchetto conservato in un cassetto dell’ufficio, un timbro della parrocchia e le chiavi di riserva dei locali della canonica. Gli assegni vennero prelevati con tutte le matrici per non destare sospetti se non a chi fosse andato a controllare i numeri di serie. Tra febbraio e dicembre 2019 vennero incassati gli assegni, uno o due al mese per importi non superiori a 3.000 euro in modo da non essere sottoposti alle doppie verifiche sulle firme imposte dal circuito nazionale di sicurezza. Nell’arco di quei mesi vennero incassati assegni per circa 50.000 euro. Il parroco di Occa non fu l’unica vittima della banda, che aveva preso di mira altri cinque prelati delle province di Vercelli, Torino, Alessandria e Novara per un bottino complessivo che si aggirava intorno ai 100.000 euro. E proprio da Vercelli era partita l’indagine della Squadra Mobile che intercettò la telefonata del 28 dicembre 2019 di L. M. alla casa di riposo dove risiedeva don Calandri; una telefonata in cui l’imputato si spacciava per un ingegnere il cui unico scopo era in realtà di accertarsi che la canonica fosse vuota per commettere l’ultimo furto di assegni, che furono effettivamente messi all’incasso e prontamente bloccati dagli inquirenti ai primi di gennaio 2020. Grazie alle telecamere poste di fronte alla canonica gli inquirenti riconobbero la Fiat Punto da cui scesero L. G. e M. M. per rubare gli assegni poi bloccati. Nel corso del processo il pubblico ministero aveva riformulato il capo d’imputazione contestando il falso in titolo di credito e la sostituzione di persona oltre all’aggravante del delitto commesso contro un ministro del culto. Le difese hanno avuto quindi modo di chiedere il rito abbreviato al termine del quale l’accusa ha chiesto la condanna per L. M. a otto anni otto mesi e 2.800 euro di multa, per M. M. a cinque anni e quattro mesi e 2.000 euro di multa; per L. G. e A. L. a tre anni e quattro mesi e 1.000 euro di multa. Richieste a cui si è associata la parte civile con l’avvocato Enrico Gallo e a cui si sono opposte le difese chiedendo l’assoluzione per il mancato raggiungimento della certezza della prova. L’udienza è stata rinviata al 27 aprile per le repliche e la sentenza.