Sergio Cinquini è nato nel 1930 a Cuneo ed è scomparso nell’estate scorsa a 92 anni. nato e cresciuto nel cuore della città, dove ha svolto varie attività artigianali. Appassionato di calcio, è stato portiere del Cuneo, ma soprattutto è noto a molti per i suoi disegni e dipinti, tanti dei quali ritraggono, in modo impeccabile, angoli del centro storico. La sua dote di osservatore fedele e attento ai particolari, gli permette di regalarci minuziose immagini, anche della prima metà del ‘900. Ha partecipato a varie mostre collettive, a rassegne e incontri nazionali, ha esposto in più personali ottenendo autorevoli segnalazioni e ambiti premi.
“Il “vizio” della pittura, Sergio Cinquini, lo ha avuto si da quando era ragazzo, – scrive Domenico Carusi – nel senso che, appena notava qualcosa di particolare, correva subito nel magazzino dove lavorava e ben nascosto dietro cataste di grossi scatoloni ne schizzava le grandi linee su pezzi di carta ruvida. Dotato di precoce e naturale predisposizione, egli iniziava un lungo ciclo artistico assai diverso per stile e concezione che alla fine ne hanno affinato la disciplina compositiva e la tecnica pittorica. Fermo ora all’impressionismo ha pitturato paesaggi, nature morte e volti che si stagliano sulle tele con ispirata partecipazione. Le forme, le distanze, le vedute prospettiche appagano l’occhio e i colori risaltano nelle tele con una luce talmente vera da sembrare provenga da una fonte realmente esistente”.
Considera la natura come maestra somma insostituibile di ogni espressione artistica, ma in particolare nella pittura. La natura si presenta come inizio e traguardo di ogni cosa perfetta; ogni anno reca con sé quattro diverse rappresentazioni. La versatilità di Cinquini recepisce questi messaggi e fedelmente li riporta sulle tele. Così i suoi paesaggi, fiori, frutta, primavere, estati, autunni, inverni sono lo spettacolo di quella natura che a lui si offre sicura di essere capita, amata, esaltata.
“I suoi alberi – scrive Paolo Signanini – scenari splendidi sotto cieli tranquilli, tutte opere intrise di una compositiva cromatica soffusa che irradiano una caratteristica luce che si compendia con la paesistica ideata e rappresentata dall’artista. Dotato di acuta sensibilità pone nelle sue opere un pacato accento di poesia e di atmosfera naturalistica. La pittura di Sergio Cinquini, in fase di costante maturazione, mette in evidenza la padronanza di una felice tavolozza. Amante della pittura all’aria aperta, si è formato in una tematica che sprona il sentimento di ogni artista spontaneo che non lascia posto all’imprecisione e al caso. Le sue opere sono rigorosamente previste per produrre non degli effetti, ma della concentrazione sotto uno stretto controllo sul suo lavoro, sui colori, sulla pennellata. Soggettivamente trasmette, con un linguaggio comprensibile, la propria concezione personale di idee, di sogni strettamente legata alla realtà”.
Ma Cinquini è innamorato anche e soprattutto della sua città, delle contrade della Cuneo strorica battute da giovane, e ha riprodotto con disegni acquerellati in bianco e nero quasi tutti gli angoli e gli scorci più riposti e suggestivi della Cuneo “vecchia”, suscitando in coloro ormai incanutiti e assai lontani dalla verde età, molti nostalgici ricordi. La sua ricca la serie di chine e acquerelli delle strade del centro storico di Cuneo sono state raccolte nella serie “Le mie cuntrà” che sono poi finiti ad arricchire il volume “Sul filo dei ricordi”.
Per La Guida aveva ricordato alcuni aneddoti di vita nel centro storico. Ricordava: “L’attuale spiazzo ex eliporto era la stazione del tranvai. La linea Cuneo-Demonte passava in corso Nizza. Per anni è stato un gioco per noi bambini: attendevamo l’arrivo del treno davanti alla Banca d’Italia e saltavamo sul predellino del vagone di coda, rimanendo letteralmente appesi fino al capolinea, ignari degli ammonimenti e delle invettive del controllore. Saltavamo giù poco prima dell’arresto del convoglio sulla lea del tranvai e ce la davamo a gambe. Era, praticamente, il rito del pomeriggio! Nelle serate estive la lea di Stura era popolata di mamme e bambini che scendevano in strada, approfittando del fresco e delle panchine: era un luogo particolarmente adatto per i giochi e le chiacchiere”.
E ancora: ” I Biùn erano il nostro campo di calcio. Ora è uno spiazzo asfaltato, ex mercato delle uve. Non era proprio San Siro e le pietre abbondavano, ma il calcio (futbol, come lo chiamavamo) era il nostro passatempo preferito. Allora il pallone aveva all’interno una camera d’aria da cui fuoriusciva un tubetto, difficile da far rientrare quando era ben gonfio, per cui aveva quasi sempre un’asimmetrica gobba, tragica per i colpi di testa. Per mia fortuna, giocavo quasi sempre in porta! Riuscivamo a fare una partita anche nella pausa pranzo, prima della campanella per il rientro a scuola alle 14,30″.
Tutti quegli angoli del centro storico sono stati immortalati da Cinquini, anche in una bella cartella “Le mie cuntrà”.