Saluzzo – Dopo aver scontato otto mesi in carcere, il giudice aveva disposto che G. A., in carcere per reati di droga, fosse messo agli arresti domiciliari con il permesso di recarsi al lavoro e, previa autorizzazione del tribunale, di recarsi al Sert. Ma quando tre anni fa gli anziani genitori lo andarono a prendere al carcere di Cerialdo per portarlo a casa in una frazione di Sanfront, il figlio chiese di fare una breve sosta a Saluzzo dove entrò in un bar per andare in bagno. Dentro il locale l’uomo trovò un amico della sua stessa frazione e dopo pochi minuiti uscì in strada per avvisare i genitori che avrebbe bevuto un caffè con l’amico che poi l’avrebbe accompagnato a casa.
“Lo avevamo preso davanti al carcere verso le quattro del pomeriggio – ha raccontato in aula il padre – e ci aveva detto del percorso che dovevamo fare e del tempo per arrivare a casa. In auto aveva chiamato la sua ex per chiederle se poteva andare a trovare i suoi figli dato che non li vedeva da otto mesi. Poi lo abbiamo visto arrivare alle cinque del pomeriggio insieme ai Carabinieri che lo avevano fermato mentre stava entrando nella frazione dove abitano i figli, a un chilometro da casa nostra”.
È così che per una deviazione di un chilometro da casa sua, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di evasione. Un’accusa che secondo il pubblico ministero era giustificata dal fatto che l’uomo sapeva bene che la misura cautelare degli arresti domiciliari non significava che fosse libero di andare dove voleva e, pur considerando che quella condotta non aveva avuto alcuna conseguenza deleteria, ne ha chiesto la condanna a sei mesi di reclusione.
Diversa la ricostruzione dei fatti proposta dalla difesa dell’uomo, finito in questa situazione a causa dell’ex compagna che subito dopo aver ricevuto la telefonata dell’uomo aveva avvisato i Carabinieri, i quali lo avevano fermato a un chilometro da casa, subito dopo aver svoltato per entrare nella frazione dove risiedono i figli. Il tutto a un’ora circa dalla partenza da Cuneo. Un comportamento che, ha rilevato l’avvocato dell’imputato, non si poteva neanche definire tecnicamente un’evasione ma che avrebbe comportato conseguenze negative per l’attività lavorativa che l’uomo svolge da quando è uscito dal carcere. Una ricostruzione accolta dal giudice che ha infatti assolto l’uomo per insussistenza del fatto.