Mai dimenticare che la storia è sempre un percorso di uomini. Risulta essere questa la lezione che, al di là dei fatti contingenti raccontati, lasciano queste pagine autobiografiche indirizzate ai ragazzi, ma utili anche per gli adulti.
L’impostazione tipografica del libro rende evidente lo spirito con cui è stato scritto. La struttura investe infatti l’intrecciarsi quotidiano della vita di gente comune con i grandi avvenimenti della storia anche se tipograficamente li mantiene visibilmente distinti.
È come invitare a ritrovare e conservare bene in evidenza questa relazione per non fare della storia un asettico scorrere di avvenimenti di cui magari scandalizzarsi, ma senza la coscienza del risvolto umano che quei fatti, scandagliati, riletti e studiati da molte angolazioni, hanno come corollario necessario e indispensabile. E bisogna dire che i recenti avvenimenti bellici nell’Est Europa confermano l’urgenza di questa prospettiva. Vero che non è mai stata sottaciuta, ma il libro di Ugo Foà la mette prepotentemente in primo piano nella disarmante semplicità del racconto.
Lo sguardo dell’autore, bambino negli anni drammatici a ridosso del secondo conflitto mondiale, funziona da catalizzatore per questa rilettura su due livelli di quel periodo. Da un lato c’è il racconto autobiografico, dall’altro ripetutamente si aprono finestre di approfondimento su singoli argomenti che fanno da preciso contrappunto a ciò che vive Ugo. L’uno è autobiografia, l’altro documentazione storica.
Le leggi razziali del 1938, per esempio, non si risolvono in un atto politico da leggere nel contesto nazionale e internazionale. Dietro quelle leggi c’è un’umanità che, incredula, si trova a scivolare rapidamente nel buio, confinata nell’inesistenza. Ci sono le domande di un ragazzino che in quell’anno avrebbe orgogliosamente fatto un salto nel suo percorso scolastico: “ma ora tutto svaniva, mi strappavano una cosa mia e non capivo perché”. Si aggira tra gli articoli delle leggi razziali lo smarrimento di fronte all’inspiegabile di ragazzi e delle loro famiglie.
Con lo stesso spirito l’autore affronta altri argomenti o momenti. Le schede relative alle tradizioni ebraiche non sono disgiunte dalla sensibilità con cui vengono vissute. La mezuzah, l’astuccio posto sul cardine della porta, si accompagna a un senso di profonda nostalgia per una casa che va abbandonata. Il bar-mitzvah, la celebrazione del raggiungimento dell’età matura, rimanda al ricordo del nonno vicerabbino a Torino.
Una storia “semplice” e una lettura che si adegua al pubblico a cui è consapevolmente rivolta.
Il bambino che non poteva andare a scuola
di Ugo Foà
Manni
12 euro