Cuneo – Si è concluso al tribunale di Cuneo il processo scaturito dall’indagine denominata “Nero Wolf” su un traffico di cuccioli di cane, che si sospettava provenissero, privi di documentazione, dall’allevamento in Ungheria di proprietà di D. M., per poi finire in un capannone a San Pietro del Gallo, che ai clienti veniva presentato come l’allevamento dove quei cuccioli erano nati.
Per questo motivo al proprietario della struttura C. B. erano contestati anche i reati di riciclaggio, frode in commercio, falsità ideologica ed esercizio abusivo della professione; dalle testimonianze è infatti emerso che C. B. faceva firmare false schede identificative, necessarie per la registrazione all’anagrafe canina, e più volte aveva provveduto lui stesso a inoculare il microchip senza essere autorizzato.
L’inchiesta era partita nel 2015 dalla denuncia di alcuni proprietari che avevano lamentato le cattive condizioni di salute dei cuccioli che avevano acquistato da C. B. Le indagini accertarono poi le altre irregolarità relative alla provenienza dei cuccioli di Cavalier King, Chow Chow e Bulldog francesi, attraverso l’esame del pelo: 42 cuccioli vennero sottoposti al prelievo dalla cui analisi emerse che le madri non erano quelle presenti nel capannone di San Pietro del Gallo.
Ascoltati in tribunale, i proprietari dei cuccioli hanno dichiarato di aver acquistato i cani pagando in contanti e senza ricevere fattura. In molti casi i testimoni hanno disconosciuto la firma apposta nella scheda identificativa del cane e quasi nessuno aveva mai visto la veterinaria – indagata insieme agli altri due imputati e uscita dal processo con un patteggiamento – che avrebbe dovuto apporre il microchip al momento della vendita del cucciolo. Era stata la segretaria dello studio veterinario a dichiarare di aver visto più volte C. B. prendere le siringhe per l’inoculazione del microchip.
A conclusione dell’istruttoria il pubblico ministero aveva chiesto la condanna di D. M., proprietario dell’allevamento ungherese e imputato di traffico illecito di animali da compagnia, a 11 mesi di reclusione, mentre aveva chiesto la condanna di C. B. a tre anni e sei mesi di reclusione. Entrambi i difensori avevano ribattuto che nessuno degli acquirenti aveva dichiarato di essere certo dell’origine italiana dei cani e il giudice, accogliendo questa ricostruzione, ha assolto i due imputati dall’accusa di traffico illecito. Caduta anche l’accusa di riciclaggio per il solo C. B., il giudice ha però condannato l’uomo alla pena di un anno e sei mesi per i reati di frode in commercio, falsità ideologica ed esercizio abusivo della professione, riqualificato come falsità ideologica in certificati. Il giudice dovrà anche decidere della destinazione dei 17 cani, confiscati a C. B. al momento della chiusura delle indagini e del rinvio a giudizio, temporaneamente affidati a un’associazione.