Vinadio – Con l’accusa di aver realizzato una tubatura di scarico delle acque reflue dello stabilimento che finiva in suolo e non nell’alveo dello Stura, così come autorizzato dalla Provincia nel 2020, è stato rinviato a giudizio Alberto Bertone, amministratore delegato dell’Acqua Sant’Anna. Secondo i tecnici dell’Arpa che nel maggio 2021 avevano eseguito un sopralluogo, la tubazione di scarico delle acque reflue era stata spostata di alcune decine di metri rispetto al progetto presentato nel 2018 dall’azienda, finendo non più nell’alveo del fiume ma in un punto più arretrato che, secondo l’accusa, era suolo. A ricostruire l’intero iter autorizzativo per la realizzazione di quello scarico la difesa ha chiamato a testimoniare la responsabile dell’area tecnica dello stabilimento, la quale ha spiegato che la realizzazione di quella tubazione per lo scarico delle acque reflue era stata richiesta dalla Provincia nel 2018 e in base a questa venne realizzato un progetto che ricevette l’autorizzazione nel 2020.
Quell’opera però, da realizzare nei pressi del ponte che portava allo stabilimento, sarebbe stata abbattuta perché nel frattempo il Comune di Vinadio aveva approvato il rifacimento del ponte. Venne quindi ottenuta l’autorizzazione dal Comune a spostare più a valle lo sbocco della tubazione nel bacino idrico, ma ci si accorse che in questo modo lo scarico sarebbe avvenuto in pieno alveo, col rischio che in caso di piena la tubazione potesse essere divelta procurando situazioni di pericolo. Di qui la decisione di arretrare lo sbocco della tubazione di alcune decine di metri, finendo in un alveo naturale, seguendo il corso di un canale irriguo. Quest’ultima modifica venne comunicata alla Provincia, la quale chiese comunque un parere all’Arpa che, nel sopralluogo del maggio 2021, notando la difformità rispetto al progetto del 2018, elevò la contestazione all’azienda. A supporto della tesi della difesa, hanno deposto anche i responsabili delle aree tecniche dei lavori pubblici della Regione e dell’ufficio tecnico del Comune, secondo cui il punto di sbocco della tubazione realizzata dall’azienda era a tutti gli effetti da considerare alveo e non suolo, rispetto alla portata normale del torrente.
A conclusione dell’istruttoria l’accusa ha chiesto una condanna a otto mesi di arresto, mentre la difesa ha sottolineato l’infondatezza della contestazione dal punto di vista formale perché lo spostamento realizzato dall’azienda non era sostanziale, ma anche dal punto di vista sostanziale poiché nel normale flusso annuale, anche in quel punto dell’alveo le acque scorrevano e quindi non poteva in alcun modo essere definito come suolo. Una ricostruzione su cui ha concordato il giudice che ha assolto l’ad dell’azienda per insussistenza del fatto.