Le sofferenze e le insofferenze generate dai duri anni della pandemia e ora le paure di una guerra così vicina a noi da aver infranto lo scudo di indifferenza che riserviamo da sempre alle guerre altrettanto terribili ma più lontane da casa nostra che insanguinano il pianeta, sono un validissimo motivo in più per andare alle urne domenica 12 giugno. Sia per scegliere il sindaco e il consiglio comunale a Cuneo e nei 19 Comuni dove devono essere rinnovati, sia per esprimere il nostro giudizio favorevole o contrario ai cinque refe-rendum sul tema della giustizia in Italia.
Il motivo in più è dato dalla ulteriore presa di coscienza che il migliore, se non l’unico, antidoto contro la guerra e contro le limitazioni alla libertà e ai diritti sta nell’esercizio stesso della democrazia.
Nella partecipazione personale e collettiva alla gestione della cosa pubblica. Il voto non è il solo modo di partecipare, ma è sicuramente tra i più efficaci.
È importante “chi” si vota, o decidere per un “si” o per un “no” ai referendum. È più importante il gesto di votare, accollandosi quella piccola parte di sovranità e di responsabilità che spetta ad ognuno di noi. Questa è la democrazia – sia pure imperfetta – in cui siamo nati e viviamo. Questo è ciò che è negato in quei regimi autocratici, illiberali (e sono la maggioranza nel mondo), dove il voto libero o manifestare il dissenso non è una possibilità reale. Dove qualcuno decide per tutti e si impone con la forza e l’arroganza o con la manipolazione dell’informazione, negando le più elementari libertà di movimento, di parola, di manifestazione. Una tentazione, quella dell’arroganza nell’esercizio del potere, che suscita persino preoccupanti simpatie in alcune forze politiche di casa nostra. Che talvolta fa capolino persino in alcuni dei nostri comuni.
Non partecipare alla scelta del proprio sindaco rasenta l’autolesionismo. Perché saranno il sindaco e la sua maggioranza a governare quel grande condominio che è la città dove si svolge la nostra vita quotidiana, fatta di lavoro, di movimento, di spazi associativi, culturali, sociali, di regole e di scelte che proprio chi amministra può stabilire o modificare condizionando fortemente, nel bene e nel male, la nostra vita. Più che dovere civico il voto è uno strumento tra i più efficaci di cui possiamo disporre per scegliere quale tipo di regole, di vita, di cultura, di servizi vorremmo per noi, per la nostra famiglia, per la nostra comunità.
Nell’affidare ad un sindaco e ad una maggioranza il governo della città, gli elettori assegnano loro un triplice mandato: il primo è di trovare le modalità più efficaci e condivise per garantire la miglior convivenza possibile tra tutte le anime, le culture, le diversità, le sensibilità presenti nella comunità; il secondo è il rispetto del “patto” sottoscritto con il voto e che prevede l’impegno a realizzare il programma presentato in campagna elettorale; il terzo è garantire la libertà di espressione, di protesta e di partecipazione anche a chi la pensa (e vota) in modo diverso.
Certo, ogni candidato sindaco è anche espressione e portatore di una cultura politica e sociale particolare, con valori specifici e diversi dagli altri, un suo modo di intendere la dialettica democratica, il lavoro, la famiglia, i servizi, lo sport, l’urbanistica e così via. Di queste diversità bisogna essere ben consapevoli, ma bisogna anche chiedere a chi governa l’impegno ad ascoltare e includere le minoranze, non solo politiche, che fanno parte della comunità. La vita di una comunità ha bisogno di “comprendere” e valorizzare tutte le energie positive che in essa si muovono.
Più controversa la scelta del voto sui cinque referendum. Non è a colpi di referendum che si può riformare la giustizia. Ma dal referendum può venire una spinta significativa, se il parlamento avrà il coraggio di recepirla, per correggere una serie di storture del sistema giudiziario. Storture che vanno a danno della giustizia, ma anche dell’economia e della buona convivenza civile. Anche per questo è vergognoso che ci siano partiti e leader che invitino a votare in blocco per il si o per il no o a non votare proprio, senza alcuna seria spiegazione. La risposta adeguata dovrebbe essere quella di votare comunque. A prescindere dal come.