Era il maggio di otto anni fa quando Berto Ravotti è morto nella sua casa di Cuneo all’età di 89 anni. Bartolomeo Ravotti, da tutti conosciuto come Berto, professore di educazione artistica alle scuole medie di Borgo San Dalmazzo e Dronero, è stato una delle figure di spicco della pittura non solo cuneese ma italiana, nonostante la sua ritrosia dagli anni Ottanta in poi a comparire e s prattutto ad esporre. Noto come il pittore delle ombre era nato a Montaldo Mondovì nel 1924 ma ha vissuto per decenni a Cuneo. Partigiano nelle valli dell’Ellero e del Casotto durante il periodo della Resistenza, si era diplomato nel 1945 nel Liceo Artistico dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e aveva frequentato per tre anni la Facoltà di Architettura del Politecnico torinese. Dopo diversi anni trascorsi in attività diverse, dedicandosi soprattutto all’insegnamento, ha iniziato a dipingere ed esporre nel 1957 eseguendo ritratti paesaggi, nature morte e soggetti sacri, espressioni in genere di una figuratività essenziale, definita con colori tonali e robusti segni neri di contorno. “A partire dal 1961, la produzione pittorica di Ravotti ha assunto nuovi aspetti tematici e stilistici, – spiega Enrico Perotto – in cui è protagonista un colore materico informale, plasmato brutalmente, metafora della consunzione del mondo materiale. Tra la fine del 1961 e il 1963, sono comparsi dipinti con raffigurazioni di muri abrasi e dimenticati di interni domestici, su cui si profilano sagome umane in forma di ombre, che sono diventate la caratteristica distintiva del fare pittura di Ravotti. Sono comparse poi le opere in cui al muro sono stati aggiunti oggetti reali che lo completano, come lesene, cornici, impianti elettrici, seguite dai quadri angolari con ombre strutturate da angoli diversi di osservazione… Quella di Ravotti è una figuralità che ci svela un mondo tranquillo e segreto, dove l’esistenza si svolge sommessa, vista per trasparenza, quasi con l’affettuosa e subdola passione del voyeur”. Nel 1964, è intervenuto nella realizzazione del Sacrario delle deportate italiane a Ravensbrück (Germania), in collaborazione con Piero Bolla e Araldo Cavallera. Nel 1966, i “giochi d’ombre” di Ravotti si sono trasformati, come ha scritto Gillo Dorfles nella presentazione della mostra personale alla Galleria Vismara di Milano, in “strutture visuali che dissolvono e al tempo stesso moltiplicano l’immagine, dandole una realisticità pressoché fotografica, che però viene immediatamente annullata dalla moltiplicazione che l’immagine stessa subisce” (ne è testimonianza Ombra di Lucio, con taglio – opera a quattro mani n. 2, del 1966, un dipinto eseguito insieme da Ravotti e Lucio Fontana e conservato in collezione privata a Cuneo, che documenta i contatti amichevoli intercorsi tra i due artisti). La produzione pittorica di Ravotti viene accolta favorevolmente dalla critica più avvertita del suo tempo, tanto da far dire a Marcello Venturoli, in occasione della personale dell’artista allestita alla Galleria La Borgognona di Roma nel 1969, che essa è tale “da laureare anche fra noi un pittore nazionale e personalissimo”. Così, Udo Kultermann, in Nuove forme della pittura (Milano, 1969), ha collocato Ravotti tra i protagonisti del figurativismo contemporaneo, osservando che le sue “creazioni” sono contraddistinte da “una serie di silhouette slittate e accentuate variamente con effetti che richiamano quelli delle fotografie esposte più volte; i personaggi raffigurati sono intenti a varie operazioni con i relativi tipici gesti, come telefonare, spogliarsi e così via”. Negli Settanta, la sua ricerca si è evoluta in direzione di un linguaggio più vicino ai valori concettuali, espresso con superfici e cromie uniformi, unite ad elementi di scrittura realizzati spesso con il mezzo serigrafico. Dagli anni Ottanta in poi, ha compiuto un profondo ripensamento della sua attività di pittore, indirizzando i propri interessi verso il linguaggio multimediale e la pittura religiosa. Suo il dipinto di Santa Maria Mazzarello nella chiesa dei Salesiani di Cuneo a cui era legato. Ha esposto in mostre personali tenutesi a Verona, Cuneo, Milano, Roma e Trento dal 1965 al 1975 e, più di recente, ha partecipato alle mostre collettive Identità contemporanee. Arte in Provincia di Cuneo 1950-1970 del 1999 e a Parole erranti, Scritture e ricerche visuali negli anni Settanta a Cuneo del 2002. L’ultima sua esposi-zione per beneficenza a GrandArte 2013 in San Francesco e poi sempre l’associazione culturale GrandArte lo ha annoverato tra le Eccellenze della provincia nella grande mostra in San Francesco del 2015.
A otto anni dalla scomparsa lo ricordiamo così sperando presto di poter ammirare la sua arte in una antologica che sarebbe un omaggio a uno dei grandi della pittura italiana.