Gian Piero Viglino è nato ad Alba nel 1951. Vive e lavora a Dogliani. Dipinge dagli anni Sessanta, cercando fin dall’ora di fondere attraverso i colori l’emozioni suscitate dalla vita.
Espone dal 1982 in molte personali e collettive in gallerie, musei ed esposizioni in Italia, soprattutto a Torino, ma anche Bologna, Roma, Latina, Ivrea, Arezzo, Teramo, Venezia, Milano e all’estero tra cui Nizza, New York, Praga, Granada, Lussemburgo, Budapest. Nel 1994 l’alluvione gli distrugge la casa-studio portando con sé la maggiore parte delle sue opere.
Da allora aggiunge ai suoi lavori anche un altro sentimento quello della caducità.
Viglino, attraverso i suoi giochi di luci e ombre, cerca di portare l’attenzione in un mondo remoto, vicino alla percezione. Lavori in cui i colori sembrano separare dei mondi e non fondersi in un disegno ma trasformarsi in un’evocazione.
Viglino ha sperimentato opere su carta di grandi dimensioni che proseguono il lavoro sul paesaggio intrapreso con i gessi degli anni Ottanta, vicini alla cultura della beat generation, che seguivano il primo periodo degli Angeli, e poi lavori a tempera verniciata su piccole tavole e visioni di animali.
“Nel corso degli anni Novanta – scrive Francesco Lodola – il quadro smette definitivamente i panni di superficie dove si compie un deposito della memoria, individuale e collettiva, e si riduce a pelle pittorica assoluta. .. Gli echi wagneriani e mahleriani, che hanno caratterizzato le opere prodotte da Viglino nella seconda metà degli anni ‘80, hanno lasciato via via terreno a pagine appoggiate, nelle quali musica e pittura, confondendosi, danno luogo ad un gioco infinito e inesauribile, lontano da qualunque rischio di monotonia: i suoi quadri sono vere partiture dove i colori, come fossero suoni, si armonizzano, si rivoltano o si aprono verso fughe sonore, vanno incontro ad intervalli o ad abbellimenti, e i segni, con la loro scrittura ritmica, creano un naturale contrappunto di accenti, sincopi e quant’altro”.
E ancora “È appunto il colore che ha fatto virare, nel corso degli anni ’80, quella pittura dall’ambito informale allargato di cui parlavo ad un sedimento sempre romantico ma decisamente più vicino a cromatismi d’oltreoceano: su quell’onda il lavoro di Viglino per certi aspetti incontra l’opera di Rothko, Gottlieb, quella di Emblema e i suoi colori ‘vesuviani’. Per tutti loro il dipinto costituisce sia un “punto focale” capace di sviluppare la meditazione dell’osservatore sia un “sipario” tra noi e il mistero, sipario che è ad un tempo barriera che separa e velo che ci fa intravedere, schermo sul quale si depositano grafismi elementari o dal quale affiorano sinopie figurali e forme simboliche. I rapporti cromatici e la loro interazione sulla superficie, all’interno di quello spazio “sacro” che è il quadro, generano ritmi, scatti, pulsazioni. Gesto e segno permangono in tutti questi anni come elementi cardine del linguaggio di Viglino ma risultano intelligentemente stemperati nella partitura cromatica di ogni singola opera…. Viglino è stato (ed è tuttora, pur in forma non professionistica) musicista. Pagine “appoggiate” consapevoli, dunque, le sue: i suoi quadri sono vere partiture dove i colori, come fossero suoni, si armonizzano, si rivoltano o si aprono verso fughe sonore, vanno incontro ad intervalli o ad abbellimenti, e i segni, con la loro scrittura ritmica, creano un naturale contrappunto di accenti, sincopi e quant’altro”.
Nel giugno del 2020 è stato tar i protagonisti di “Avrei voluto avere una barca” una performance con amici capitanati da Pippo Bessone, con cui ha costruito in una radura in riva al Tanaro, ai piedi dei calanchi di Farigliano, una grande barca, servendosi di rami e detriti legnosi portati dai movimenti del fiume. Un’opera di land art, un’arca in cui salvare dal disastro, dall’oblio i ricordi e tutti gli attimi. Dentro e intorno allo scafo, Viglino ha disposto una serie di sue opere, di diverse tecniche e materiali. Una rappresentazione che era una sorta di “rivincita” “per fare pace col fiume” sull’alluvione del novembre 1994, che investì la cascina a Moriglione di Novello dove all’epoca Viglino abitava e aveva il suo studio, il suo archivio, la sua biblioteca. La coppia si salvò fortunosamente e pericolosamente, come in un naufragio; la casa e vent’anni di lavori, documenti, libri furono travolti e perduti.
Alcune opere di Gian Piero Viglino si possono vedere a Niella Belbo nel progetto“LangArte785”. È tra i 24 artisti che fino al 30 settembre danno vita al progetto che vuole creare un legame fra l’arte e il territorio, percorso artistico, che ha fatto rivivere tutti i monumenti del paese: la torre, la Chiesa dei Battuti, e con loro i vecchi edifici una volta anima del paese come il Peso, le Poste, la Filanda, il macello. Viglino espone nel seminterrato dell’Asilo. Ore 10/19 sabato e domenica.