Ceva – Per telefono gli era stato proposto l’acquisto di un volume legato alle forze dell’ordine e ai corpi di pronto intervento e in segno di gratitudine per l’opera svolta in occasione delle alluvioni del 1994 e del 2008; la coppia residente nel cebano aveva deciso di comprare il volume al prezzo di 90 euro. Qualche tempo dopo, i due coniugi vennero nuovamente contattati per un altro acquisto e decisero di fare altra beneficenza per 130 euro. Questi due acquisti erano però solo l’anticamera del tormento di telefonate e ingiunzioni di pagamento, per un abbonamento in realtà inesistente, che la coppia ricevette fino al febbraio 2018 quando marito e moglie vennero letteralmente sottoposti a un tentativo di estorsione. “Parlai al telefono con un signore che si spacciò per il cancelliere del giudice di pace di Roma – aveva raccontato in aula la vittima del tentativo di estorsione – dicendo che dovevo pagare 9.000 euro per l’abbonamento che avevo sottoscritto ma che se avessi pagato subito avrei avuto uno sconto, pagando solo 6.800 euro”. La coppia arrivò a ricevere fino a 15 telefonate in un giorno, tanto che per il terrore avevano iniziato a non rispondere e all’uomo era venuta la tachicardia ogni volta che sentiva squillare il telefono. A una delle ultime telefonate rispose la figlia della coppia: “Si presentò come il dott. Carini cancelliere del giudice di pace di Roma e mi ripropose il pagamento, andai dai Carabinieri che mi dissero di non pagare nulla e denunciare il fatto. Nella telefonata successiva dissi a questo signore che mi ero rivolta ai Carabinieri, il suo tono si fece minaccioso e disse che avrebbe promosso causa contro mio padre, ma da allora non si sono fatti più sentire”. Per i quattro imputati (tre titolari delle ditte di commercializzazione di riviste e volumi dedicate alle forze dell’ordine e ai corpi di protezione civile ma senza alcun legame con queste istituzioni, e il titolare del conto corrente su cui avrebbe dovuto essere eseguito il bonifico di 6.800 euro) il pubblico ministero ha chiesto condanne da due a sei anni di reclusione; le difese hanno invece sottolineato che in alcun modo il processo aveva dimostrato contatti e conoscenze fra i quattro imputati che in realtà erano tutti in concorrenza fra loro e quindi mai avrebbero avuto l’interesse a scambiarsi i dati dei propri clienti; “anche se è vero – ha detto in aula uno dei difensori – che in quell’ambiente i dati dei clienti passano di mano in mano senza alcun controllo”. I giudici hanno assolto i quattro imputati per mancanza di prove.