Saluzzo – I lavoratori del processo Momo, che si è chiuso oggi (lunedì 11 aprile) in primo grado al tribunale di Cuneo, erano in stato di bisogno e i loro datori di lavoro ne approfittarono con condotte che sono state punite con pene che vanno dai tre ai cinque anni. Lo ha stabilito la dottoressa Alice Di Maio che ha così deciso l’esito del primo processo per caporalato della provincia di Cuneo. Sono state quindi accolte le richieste di condanna avanzate dal pubblico ministero Carla Longo che aveva definito quello emerso dall’inchiesta “un caporalato ‘grigio’, uno sfruttamento nascosto sotto un’apparenza di legalità. Uno sfruttamento che non si manifesta con forme violente ma che si basa sulla fragilità e sfruttabilità dei lavoratori”.
I fatti erano emersi nel 2018 in seguito alla denuncia di uno dei giovani impiegati dalle due ditte, ed era venuto alla luce un sistema di buste paga sempre più basse dell’effettivo numero di ore lavorate e da cui venivano sistematicamente detratte somme di cui i lavoratori non capivano le ragioni, oltre a evasione dei contributi, violazioni delle norme di sicurezza, condizioni abitative degradate.
Questo sfruttamento era garantito dall’intermediazione di Momo, l’unico tra i ragazzi impiegati a comprendere e parlare l’italiano, l’unico con cui i datori di lavoro si relazionavano per trattare con gli altri impiegati, Momo che da questa situazione di privilegio aveva tratto vantaggi economici personali, imponendo una sorta di tassa mensile da pagare a lui per questo sua opera di intermediazione.
Nel dettaglio la giudice ha stabilito per T. M., conosciuto da tutti come Momo, l’intermediario tra le famiglie di produttori di frutta di Lagnasco e di raccolta polli di Barge, una pena di cinque anni di reclusione, e alla stessa pena sono stati condannati D. G. e M. B., titolari della ditta di Lagnasco. Una pena di tre anni è invece stata inflitta a A. D. e M. C., titolari della ditta di raccolta polli di Barge. D. G. della ditta di Lagnasco e A. P. della ditta di Barge sono invece stati assolti perché riconosciuti estranei alle condotte degli altri parenti.
La giudice ha riconosciuti per tutti e cinque gli imputati condannati le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante dell’aver approfittato dello stato di bisogno di quei lavoratori. Fra le pene accessorie anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici per T. M., D. G. e M. B., interdizione di cinque anni invece per A. D. e M. C. Inoltre tutti gli imputati sono stati dichiarati interdetti dagli uffici giuridici delle imprese, dal prendere appalti e da agevolazioni e sussidi da parte dello Stato per la durata di due anni. T. M., D. G. e M. B. dovranno risarcire K. M., uno dei lavoratori costituiti parte civile in giudizio, con 50.000 euro di provvisionale, mentre tutti e cinque gli imputati dovranno risarcire l’altro lavoratore costituito con 15.000 euro di provvisionale immediatamente esecutiva. Dovranno essere risarcite in sede civile anche la Flai Cgil e l’associazione Sicurezza e lavoro, con provvisionali immediatamente esecutive di 10.000 euro per ciascuna.