Cuneo – Venerdì 18 febbraio alle ore 20.45 nella chiesa di san Paolo avrà luogo la conclusione del percorso dell’Assemblea sinodale con la votazione delle proposizioni sul tema “Il ruolo dei laici nella Chiesa” e, a seguire, la celebrazione di ringraziamento e affidamento del cammino successivo. Le assemblee sinodali sono state luoghi di ascolto e di discernimento della voce che proviene dallo Spirito di Cristo. Le voci dei sinodali hanno generato un consenso che può aiutare le diocesi di Cuneo e di Fossano a convertire e rinnovare la vita delle loro comunità. In proposito abbiamo intervistato don Giuseppe Pellegrino (49 anni), sacerdote cuneese, parroco e insegnante, Segretario generale del Sinodo di Cuneo e di Fossano.
Venerdì 18 febbraio si concludono le Assemblee sinodali: che impressione resta di questi appuntamenti?
È stata un’esperienza di umiltà e ricerca. Si è percepita la consapevolezza di vivere una stagione in cui occorre dialogare molto di più, senza poter dare nulla per scontato. La vita sociale è diventata come una capigliatura piena di nodi, che non si sa come sciogliere. Ma se non si cede all’impazienza, si può costruire nel nostro tempo un cristianesimo umano, feriale, incoraggiante.
Dopo le Assemblee come continua il cammino sinodale?
Al vescovo viene consegnato il Documento finale, che raccoglie le 44 proposizioni approvate dall’Assemblea sinodale. Il vescovo ne trarrà ispirazione per scrivere il Libro sinodale, un documento che indichi orientamenti pastorali per il futuro delle due diocesi e decisioni concrete di riforma.
Perché il Sinodo è un’occasione da non sprecare e come discernere le prassi da cambiare e ciò che invece è da rilanciare?
Non va sprecata l’esperienza di condivisione tra laici e preti vissuta nelle assemblee. Si è percepito chiaramente che il peso delle fatiche e la responsabilità del cambiamento va caricato sulle spalle di tutti. Non si deve ritornare alla posizione dello spettatore, di chi aspetta che siano il vescovo e i preti ad esporsi e decidere. La credibilità della Chiesa nel nostro territorio e l’interesse al Vangelo dipendono da ciascun fedele.
Diocesi, Chiesa italiana, Chiesa universale: si parla molto di sinodalità. Che cos’è una Chiesa sinodale? Come riuscire a contattare, ascoltare chi si è allontanato dalla comunità ecclesiale, chi compie altri percorsi, ad intercettare domande e vissuti della gente?
Molti sono lontani dalla Chiesa perché sono convinti che essa sia lontana da loro, non interessata o incapace di capire l’umanità di oggi. Altri sono lontani perché diffidano dell’onestà della Chiesa, la considerano ipocrita, corrotta. Qualcuno ha sofferto umiliazioni, mancanze di rispetto, abusi di potere. Bisogna arrivare a dimostrare che c’è veramente la disponibilità ad ascoltare tutti e a prendere sul serio ogni sofferenza e ogni domanda, accettando anche l’umiltà di non saper rispondere o di aver sbagliato.
Si sta creando una forma di incomunicabilità tra i credenti e la società, tra la Chiesa e i giovani? Quali sono i muri che forse le comunità ecclesiali hanno alzato senza accorgersene, oppure che hanno ereditato e che non hanno ancora saputo abbattere?
La difficoltà odierna è parlarsi. Ognuno ha la propria lingua e fatica a capire che cosa dicono gli altri. Giovani e anziani, singoli e gruppi condividono i limiti della società contemporanea, iperconnessa, sempre sui socials, ma incapace a comunicare. Non mancano i mezzi di comunicazione. Mancano i tempi di silenzio, di studio, di contemplazione, di solitudine. C’è la fretta di avere soluzioni facili, risposte da specialisti e percorsi indolore per elaborare le sofferenze della vita e lasciarle al più presto alle proprie spalle. I muri più pericolosi sono quelli che ciascuno costruisce attorno a se stesso.
Dalle Assemblee sinodali pare che sia emerso un desiderio di formazione da parte dei laici. È ancora possibile oggi riuscire a coinvolgere per una formazione (teologica, spirituale) alle fede?
È molto difficile oggi trovare persone disposte a fare cammini lunghi di formazione. Servono competenze specifiche su tanti ambiti, ma senza menti formate su orizzonti ampi, le risposte che vengono offerte risultano povere, superficiali. Nel passato molti preti e persone consacrate sono state accompagnatori spirituali e guide per le menti, grazie a percorsi di formazione lunghi compiuti nei seminari e nelle case religiose. Ora stanno scomparendo figure di questo genere e le nuove figure che si affacciano, laureati in scienze religiose o in teologia, sono comunque poche e ancora incerte nella loro specifica missione. Il Sinodo ha rimarcato il bisogno di formazione, ma resta la domanda: chi la potrà offrire e chi sarà disposto a farne il lungo percorso?
Si può dire che la sfida è quella di una rielaborazione per le nostre comunità in un contesto nuovo di Chiesa e di società?
Non credo che la Chiesa abbia le risorse per recuperare un rapporto pieno con la società e la cultura contemporanea. Ormai il divorzio c’è stato. Dal punto di vista culturale però la Chiesa locale può alimentare ancora la nostalgia per Dio, per il Vangelo e per la fraternità umana. Dal punto di vista sociale può svolgere ancora un grande ruolo di aggregazione e di attenzione alle tante povertà umane e alla sofferenza spirituale che abita il cuore dei giovani, degli adulti, degli anziani.