Cuneo – La sera del 5 novembre 2018 tre persone avevano dato fuoco al portico della sua casa di Pogliola; i tre erano stati però subito rintracciati dai Carabinieri e denunciati. La vittima dell’attentato incendiario, un cittadino egiziano proprietario di un minimarket a Cuneo, li aveva riconosciuti e aveva sporto denuncia. All’origine del gesto, che avrebbe potuto avere conseguenze ben peggiori, c’era una lite sulla vendita di un locale di kebab a Mondovì.
La mattina dopo, mentre si trovava all’interno del suo minimarket di via Giordanengo, l’uomo ricevette la visita di due parenti dei tre attentatori e venne minacciato con una pistola: “Mi dissero di ritirare la denuncia altrimenti avrebbero ammazzato me e i miei figli e uno di loro mi mostrò la pistola”.
Due degli incendiari vennero processati e condannati a tre anni di carcere, mentre il terzo aveva scelto il patteggiamento. Ora a giudizio con l’accusa di minacce aggravate dall’uso di armi sono finiti M. H e S. H., il primo parente di uno dei tre condannati e il secondo, da quanto è emerso nel corso dell’istruttoria, una sorta di “capo clan” della comunità egiziana di Torino, circa 800 persone che, stando a quanto dichiarato da un testimone, opera come un vero e proprio giudice nei casi di controversie tra i membri delle varie famiglie.
“Nei giorni successivi a quella minaccia – ha continuato la parte offesa – ricevetti tantissime telefonate da numeri sconosciuti. Erano tutti parenti e amici dei due e continuavano a minacciarmi. Mi seguivano, un giorno me li ritrovai dentro un bar di Torino e scappai in fretta. Se mi succede qualcosa sappiate che è stato S.H. a ordinarlo”.
Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati altri testimoni della difesa tra cui un cugino di M. H. che ha riferito di aver accompagnato i due imputati a Cuneo la mattina del 6 novembre, ma si erano fermati al carcere del Cerialdo in attesa che i tre dell’incendio venissero scarcerati: “Abbiamo mangiato da un amico che gestisce una pizzeria a Cuneo e poi siamo stati ad aspettare che uscissero i nostri amici e parenti dal carcere. Eravamo venuti in treno e non siamo andati al minimarket”.
Il processo è stato rinviato per la conclusione dell’istruttoria e la sentenza.