Il ritratto di un politico “scomodo” che in poco più di quattro decenni ha graffiato il proprio partito e l’intero mondo politico. Poco disposto ai compromessi, Carlo Donat-Cattin lascia parole e riflessioni che risuonano richiami a una progettualità che non faccia sconti, oggi che il mondo politico sempre più appare guidato dallo smussare gli angoli, dai compromessi a costo anche delle idee.
Quando l’autore Giorgio Aimetti, si pone la domanda più ovvia, quella sul cosa resta di Donat-Cattin, individua in tre linee di intervento, concretizzatesi in altrettante enunciazioni legislative, gli assi portanti del pensiero di questo personaggio: “resta lo Statuto dei lavoratori, approvato e modificato ai tempi del suo ministero; poi la legge 675 del 1977 dedicata alla ristrutturazione e riconversione industriale; la legge per il finanziamento delle strutture ospedaliere”. Resta un “atteggiamento di sorprendente concretezza nei confronti della gestione della cosa pubblica”.
Tale prospettiva contraddistingue il ritratto di Donat-Cattin che accompagna il sistema politico italiano dal dopoguerra fino all’orlo della crisi di fine anni Ottanta. Non la vede, perché muore nel 1991, ma ne intuisce i sintomi nella crisi dei valori della convivenza civile, soprattutto in un modo di far politica che elude i propri impegni. Al Congresso della Democrazia Cristiana del 1989 dice: “la professionalizzazione porta alla casta politica interclassista, non in rappresentanza, ma come sovrastruttura parassitaria della società”. E senza mezzi termini invita a fare “pulizia sulla porta di casa e dentro la casa”.
A Donat-Cattin la schiettezza non manca. “Uomo di pensiero e di azione”, cresciuto nell’alveo dell’Azione Cattolica, fin dai suoi primi impegni ha richiamato all’attenzione verso il mondo operaio. Come sindacalista prima, poi come parlamentare ne ha affrontato i problemi. Sostenitore dello Statuto dei lavoratori, lui stesso si definiva “ministro dei lavoratori” e anzi una testimonianza ricorda quanto fosse soddisfatto “quando poteva dimostrare ai padroni del vapore che i lavoratori contavano qualche cosa”.
Una posizione alimentata dalla profonda ispirazione cristiana che Giorgio Aimetti mette in evidenza. Anche in questo la linea è ferma e critica laddove ritiene che l’avventura politica del cristiano non più limitarsi alla testimonianza, ma deve segnare una presenza accanto ai lavoratori e per la società. La testimonianza è ancora poco, rischia di esaurirsi in una posizione di chiusura, di isolamento, pur se involontario. La ricerca del ruolo del cristiano nella politica si qualifica come “vocazione al servizio del Paese”.
Convinto esponente della sinistra democristiana, Donat-Cattin apre al dialogo con i partiti laici. La biografia riporta con precisione le sue posizioni, spesso critiche dai suoi stessi compagni di partito. Anche da questo punto di vista la tessitura di questa biografia si atteggia non solo a doveroso omaggio al personaggio, ma anche un’occasione per la stessa politica di oggi per confrontarsi con le sue idee e, magari, ripensare quanta distanza la separi dalla sua integrità.
Carlo Donat-Cattin – La vita e le idee di un democristiano scomodo
di Giorgio Aimetti
Rubbettino
29 euro