La riedizione a distanza di anni del libro di Piero Raina, in occasione del centenario della nascita, offre l’opportunità per avvicinare una figura e una valle uniti da legame indissolubile. Famiglia originaria della Valtellina, ma lui è nato a Elva e a questo angolo di mondo appartato eppure prodigo di sensazioni, è sempre stato fedele come apicoltore, coltivatore, amministratore e poeta e narratore.
Nell’esperienza del narrare in prosa e versi le parole danno forma a un sentire che prima sa ascoltare, persone e cose, poi affiora nello scritto con la profondità di chi va oltre la prima impressione.
Una “valle antica”, la Valle Maira. Antica di millenni, ma soprattutto di vita. Da questa profondità affiorano le parole che invitano a scoprirla nel suo volto più vero, quello delle persone. La consapevolezza di un passato ormai consegnato ai ricordi non abbandona mai quella di una ricchezza sperimentata, vissuta, custodita e consegnata al presente.
Rispetto ad altri autori, con cui condivide questo sguardo, Raina non parla quasi mai di se stesso. Il libro appare un mosaico i cui tasselli sono anche presenti nel suo animo. È un ascoltatore del mondo. Ascoltatore anzitutto di persone, dei “vitun”, i montanari come lui. Sono loro a raccontarsi quando piangono per una mucca morta, non però per il danno economico, quando ricordano l’infanzia di bimbi “affittati” come pastorelli o il giorno della visita di leva ora “fatti per entrare nel mondo”.
È vita che scorre sul “binario di sempre”: fatiche e privazioni, ammette, “in compenso però c’era l’impegno e la dedizione di ognuno sia uomo che donna, vecchio o bambino per il sostentamento l’andamento familiare”. Una fatica espressa con l’immagine del “portare la cabasso”, la gerla carica di pietre e terra, era usuale come “portare la camicia”.
È su questo piano che la malinconia trapela. Non già come superficiale esaltazione della vita in montagna, che nulla ha banalmente poetico. È invece nelle relazioni che si sentono chiari gli accenti di questa malinconia del passato “quando i diavoli dell’Inferno erano diavoli da prendere sul serio e magari si tribolava a mettere qualcosa da parte per rimediare alle pene del Purgatorio, ma in compenso nulla si sapeva dei balordi di questo mondo”. Arriveranno anche i “balordi” e saccheggeranno abitazioni e paesi abbandonati, penseranno all’invaso di Macra scordando paese e microclima.
A questo sentire partecipa l’intera natura, persino gli oggetti. Raina dedica poesie e racconti alle erbe “amiche”, al castagno “albero delle buone qualità”, al larice “albero di casa”. Poi c’è il corno, la “crico”, la “cabasso” e altri strumenti quotidiani che fanno tutt’uno con la vita, con le persone che li usano.
La riedizione del libro si arricchisce poi delle nuove fotografie di Mauro Giulietti.
L’albero del panc
di Piero Raina
Primalpe
25 euro