L’altra faccia della cultura dell’integrazione razziale nell’America degli anni Sessanta è bianca. Ce lo ricorda il film di Barry Alexander Brown che, sotto le ali protettrici di Spike Lee, prende spunto da figure reali, né poteva fare altrimenti.
“Figlio del sud” è il titolo originale ben più provocatorio di quello italiano. Chi sia è presto chiarito. Bob Zellner è giovane bianco, nativo dell’Alabama, figlio degenere di un sud che il Ku Klux Klan sembra aver colonizzato, nipote di un nonno convinto suprematista. Quale offesa per la famiglia quando Bob sceglie da che parte stare, cioè seguire i sermoni di Martin Luther King e l’attivista Rosa Park. È lei che nel 1955 aveva occupato su un autobus un posto riservato ai bianchi avviando il boicottaggio dei mezzi pubblici. È lei che sa essere diretta “non scegliere è una scelta”, frase che colpisce Bob e lo aiuta nel prendere una decisione.
L’argomento è già stato affrontato da molti altri film con cui il regista saggiamente non intende mettersi in competizione, anche se il punto di osservazione del “bianco” ha certo dell’originale. Sceglie invece la strada del racconto lineare lasciando parlare i fatti e distendendovi di tanto in tanto qualche citazione che li rafforzi.
Cinema civile più ancora che politico, forse anche penalizzato se si cerca il confronto con altri titoli, ma certamente concreto e alieno da retorica, il film guarda al lavoro che Bob fa su se stesso. Per questo c’è anche chi l’ha paragonato al nostro “Cento passi”. Bianco tra bianchi, ma anche bianco tra neri, Bob si trova anche a fare i conti con la tentazione del razzismo che vaga tra gli afroamericani, spiegabile forse come reazione, ma da un punto di vista ideale inconciliabile con la linea del movimento non violento.
“Il colore della libertà” è al Lanteri da venerdì 7 a domenica 9 gennaio.