Leggendo i racconti di Lorenzo Giraudo, viene quasi da immaginarsi la scena. Un nonno che prende il nipotino in braccio, anzi “’n fauda”, e si mette a raccontare degli anni della sua infanzia e giovinezza. Vivacità e freschezza condiscono la saggezza che traspare, l’armonia che aleggia sulle frasi che scaturiscono spontanee. Intanto il nipotino fa domande e lui, che non aspetta altro, si mette a rispondere componendo un mosaico di piccoli avvenimenti per lo più familiari.
Come ogni nonno però anche lui sa che i suoi racconti non sono solo esercizio di memoria, meno che mai un mettersi in mostra. Sì, è bello per lui ricordare, come “è vero che la memoria non è altro che misera cronaca, tuttavia se riesce a dimostrare che contiene un po’ di senno e di insegnamento esemplare, ti spinge a ripartire nel momento che il tuo cielo appare un poco grigio”. Per questo alla fine, quando è ora di salutarsi, di chiudere ogni racconto, allora affiora un pizzico di nostalgia sostenuta dal confronto con l’oggi. Un accostamento assolutamente impari perché l’ago della bilancia pende inesorabilmente a favore del passato!
Più volte ritorna il bisogno di richiamare alla memoria “prima che mi scappino dalla mente i bei ricordi della mia infanzia”. È un impegno che quasi sempre diventa un rinnovato incontro con le persone che hanno condiviso con l’autore momenti, anche fugaci, della vita. Si compongono così rapidi ritratti come la Rina, che si prende gioco dell’amica Neta, un po’ sempliciotta, raccontandole di galline che fano due uova al giorno e persino un gallo eguagliava il record, o Ghitin che recita il rosario rigorosamente in latino condendolo di strafalcioni, ma “spero proprio che il Buon Dio abbia apprezzato la fede genuina”.
Gente semplice, ma saggia di fronte alla vita come Galian che si costruisce la sua “ultima camera da letto”, una bara, per non lasciare fastidi a nessuno “e non essere seppellito come un cane”. Ma come sempre l’autore lascia che la memoria si muova in libertà. Non è il singolo episodio a interessarlo. È tutto l’ambiente che ruota intorno a queste persone, in modo che ogni racconto è anche descrizione di uno stile di vita sobrio, attento agli altri, all’”umana comunicativa” che intesse relazioni e rafforza le amicizie. Anche per questo motivo quando l’autore si confronta con l’oggi sente stridere qualcosa. Può essere il ricordo delle lucciole messo a paragone con le luci dell’Illuminata o, peggio, i mesi della pandemia.
Allora non nasconde di sentirsi “come una mosca dentro una ragnatela”. È vietato ogni contatto personale. E gli scappa anche un po’ di rabbia perché “dopo quaranta giorni chiusi in casa con il catenaccio anche un credente ha ragione a essere arrabbiato contro questo dittatore” invisibile.
Tuttavia ha la meglio la saggezza ereditata dal passato che lo fa guardare agli alberi quando arriva la grandine: abbassano i rami “ma tengono viva la forza per tornare rigogliosi e insegnare a tutti che è bello rinascere”.
Andoa am ciama ‘l vent
di Lorenzo Giraudo
Primalpe
16 euro