Cuneo – Prosegue al tribunale di Cuneo il processo, scaturito dall’operazione “Nero Wolf” sul traffico illegale di cuccioli di cane, in cui sono imputati D. M., proprietario dell’allevamento ungherese da cui provenivano i cuccioli rivenduti poi in Italia, e C. B., proprietario di un capannone a San Pietro del Gallo dove venivano venduti i cani che, secondo l’accusa, erano stati introdotti illegalmente in Italia; a quest’ultimo vengono contestati anche i reati di esercizio abusivo della professione, frode in commercio e riciclaggio. L’inchiesta, riferita a fatti del 2015, era partita dalla denuncia di alcuni acquirenti che lamentavano le cattive condizioni di salute dei cuccioli venduti dall’imputato. Nell’inchiesta era implicata anche una veterinaria che ha scelto di patteggiare la pena: nel suo studio vennero trovate oltre 167 schede anagrafiche associate all’allevamento di C. B. con la sua firma. Dalla testimonianza della segretaria dello studio è anche emerso che l’imputato spesso aveva prelevato le siringhe per l’introduzione del microchip ai cuccioli, un’operazione che avrebbe dovuto eseguire il veterinario. Al processo sono stati chiamati a testimoniare solo quegli acquirenti di cuccioli di cavalier king, bulldog francese e chow chow, ai quali era stato fatto il prelievo del pelo; dagli esami eseguiti risultava infatti che non ci fosse riscontro genetico con le presunte madri presenti in allevamento. Quasi nessuno dei 42 testimoni chiamati a deporre in aula aveva infatti potuto vedere i genitori dei cuccioli: “Avevo chiesto di poter vedere i genitori – ha dichiarato in aula un cliente da Manta – ma lui mi disse che era meglio di no perché le aveva tolto i cuccioli da poco”. A un’altra acquirente di Bra l’imputato aveva detto che i genitori non c’erano: “Ho capito che i cuccioli non erano nati lì – aveva detto la donna ai Carabinieri che l’avevano ascoltata durante le indagini – e non ho fatto altre domande per non metterlo in imbarazzo”. Alcuni cuccioli avevano avuto problemi di salute, come nel caso di un cliente di Torino al cui cavalier king venne riscontrata un’infezione all’orecchio curata con una terapia di una settimana: “Richiamai il venditore per fargli notare che mi aveva detto che il cane era sano mentre così non era stato, mi stupì che mi disse di riportarglielo e mi avrebbe ridato i soldi. Gli risposi che non era un pacco postale, faceva parte della famiglia”. A un altro cliente C. B. disse di portare il cane da lui in caso di problemi di salute: “Mi colpì quando disse di portargli il cane se fosse stato male perché aveva una veterinaria di fiducia, che magari qualche altro veterinario faceva un sacco di storie”. Tutti i clienti avevano pagato 400-500 euro per un cucciolo, senza ricevere fattura. Il processo proseguirà il 31 gennaio con altri testimoni (immagine di repertorio).