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Lunedì 4 novembre 2024

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Riflessioni attorno a Taranto: la Chiesa non può rinunciare al suo ruolo profetico

Le riflessioni di don Flavio Luciano vicario episcopale per Carità e impegno sociale della Diocesi e direttore dell'Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro

La Guida - Riflessioni attorno a Taranto: la Chiesa non può rinunciare al suo ruolo profetico

A seguito della partecipazione alla Settimana Sociale dei Cattolici in Italia a Taranto don Flavio Luciano, vicario episcopale per Carità e impegno sociale della Diocesi e direttore dell’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro traccia alcune riflessioni.

Durante la Settimana Sociale dei Cattolici in Italia a Taranto sono state tante le esperienze condivise che hanno aiutato ad approfondire le grandi sfide che attendono l’umanità a riguardo dell’ambiente e della vita dei popoli. Una sessione speciale e coinvolgente è stata quella vissuta il giovedì sera, quando abbiamo ascoltato alcune testimonianze particolarmente forti. Espressioni di una società viva e di una Chiesa profetica, coraggiosa e schierata con chi soffre ingiustizie.
L’Amazzonia è nostra e l’Amazzonia ci riguarda”. Così ha iniziato la giornalista Lucia Capuzzi di Avvenire, che in pochi minuti ci ha illustrato quanto è importante ciò che sta succedendo in questa foresta ‘polmone’ del mondo. L’Amazzonia non è solo un luogo geografico, ma per noi è soprattutto “un luogo teologico dove Dio ci parla” perché lì sono svelate nella loro gravità le ferite – della terra e dei suoi abitanti – inferte da “un’economia che uccide”. Se la strage di alberi va avanti con la strage di esseri umani, questo territorio è per noi fonte di speranza grande, perché la resistenza eroica dei popoli amazzonici ci dice che possiamo ancora prenderci cura del pianeta, nonostante tutto.

Bellissima poi l’esperienza delle Mamme NO PFAS raccontata da una di loro, la signora Anna Maria Panarotto. “Sono contenta di essere alla Settimana sociale, perché noi Mamme No Pfas da 4 anni viviamo la nostra battaglia per l’ambiente nel nostro Veneto, dove abbiamo una falda acquifera che è la più grande d’Italia inquinata gravemente ora per almeno 100 anni”. I Pfas sono acidi molto forti usati in forma liquida in campo industriale e proprio il Veneto sta soffrendo in maniera tremenda l’azione di questi acidi in molti dei suoi comuni causa industrie locali che operano quasi indisturbate. “Ma Il problema di Pfas non è solo in Veneto, vogliamo limiti nazionali, che queste molecole delle Industrie chimiche vengano testate prima di essere messe in commercio e che le aree vengano bonificate” ha proseguito la Panarotto “l’inquinamento impoverisce e come si è impoverita Taranto, anche il Veneto si è impoverito, perché l’acqua ha avvelenato i terreni, ha avvelenato i pozzi, ha avvelenato l’acqua potabile e non solo, con un costo altissimo”.

Ma il momento più forte è stato l’ascolto di Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano (NA) nella orami tragicamente famosa Terra dei Fuochi: “I veleni sono arrivati da tutta Italia. Ci sono delinquenti da tutte le parti. Tra i nostri camorristi qualche pentito. Tra gli industriali disonesti, nessun pentito. Ci hanno appena ucciso un giovane, dalla camorra, ma noi non stiamo zitti. La Chiesa ha una grande responsabilità”. Parole forti e taglienti, dette con molta dignità e orgoglio perché consapevole del cammino fatto con la sua gente: “Fino a 6 anni fa non c’era una legge sui reati ambientali. Se oggi c’è è grazie all’impegno della nostra gente, alle manifestazioni che ci sono state”. Mi colpiscono molto le sue ultime parole: “ognuno deve guardare il suo territorio. Noi dobbiamo avere uno sguardo strabico. Col nostro sguardo dobbiamo arrivare in amazzonia, ma guai a noi se per arrivare in amazzonia, io non guardo vicino a me”. Continua guardando la platea: “Continuare ad essere le sentinelle, i testimoni, ad alzare la voce. Quando abbiamo visto che non avevamo più le parole, abbiamo fatto parlare i nostri morti. Abbiamo fatto stampare 150.000 cartoline, le abbiamo fatte arrivare al Papa, al presidente della Repubblica. Mi rifiuto a rassegnarmi. Un occhio che guarda al nostro territorio e l’altro al sud del mondo, con il coraggio di Francesco andiamo avanti”.

Mi domando seriamente se le conclusioni della Settimana Sociale, pur con tanti aspetti positivi, siano state veramente all’altezza di queste testimonianze.
Con alcuni amici abbiamo percorso le strade del quartiere Tamburi, martoriato dall’inquinamento industriale, con nel cuore le parole di Annamaria Moschetti, rappresentante dei medici di Taranto, sul valore della vita di un bambino che «è superiore a tutto l’acciaio del mondo».
Una frase che nasce dall’aver visto i volti dei troppi morti per tumore e che è stata ripetuta dal vescovo di Taranto, Filippo Santoro, nel discorso conclusivo dell’incontro. Ma a detta di tanti è mancato un ascolto più attento delle associazioni dei cittadini e soprattutto una presa di posizione chiara su cosa si potrebbe fare per rimediare a tante morti e tanta sofferenza. È possibile o no produrre acciaio senza immettere nell’atmosfera quei veleni che, quando il vento è forte, addirittura impediscono alla gente di aprire le finestre di casa e ai bambini di recarsi a scuola? Da troppo tempo quella gente aspetta risposte concrete e non promesse. In certi contesti, come in una Settimana Sociale nazionale, la sola denuncia non è sufficiente!
Molti hanno poi sottolineato la mancanza totale di una presa di posizione sulla questione delle armi. Come non prendere posizione, forti delle parole dette pochi giorni prima (16 ottobre) da papa Francesco nel video messaggio al 4° incontro dei Movimenti Popolari: “Voglio chiedere, in nome di Dio, ai fabbricanti e ai trafficanti di armi di cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra, spesso nel quadro di giochi geopolitici il cui costo sono milioni di vite e di spostamenti”. Non possiamo lasciare da solo papa francesco. Perché non diciamo chiaramente che non condividiamo la scelta – dichiarata dal nostro Governo –  di adottare misure di difesa più significative e spendere molto di più per le armi, quando spendiamo già 40 mila euro al minuto, forse di più, per le armi  quando non si investe il sufficiente, perché manca denaro, per una medicina più territoriale o per politiche di difesa del nostro territorio così fragile?

Anche da noi i problemi riguardo all’ambiente, alla salute e al lavoro non sono pochi. Siamo sicuri che qualsiasi lavoro sia benvenuto?  Produrre armi per esempio no. Quando ambientalisti seri inseriscono il consumo di suolo tra le cause di questo clima impazzito che distrugge territori e coltivazioni e, peggio, uccide, come possiamo accettare tranquillamente lo sperpero di terreno buono per la logistica – vedi Amazon o Conad – senza offrire a loro spazi alternativi di suolo già usato? Che considerazione abbiamo per chi verrà dopo di noi? Cosa abbiamo capito dei cambiamenti climatici?
No alla contrapposizione tra salute e lavoro o ambiente e lavoro! A Taranto abbiamo capito che è possibile un nuovo sguardo e nuove pratiche. Basta volerlo.

È giusto che proponiamo passi concreti verso la conversione ecologica, ma questi vanno inseriti in un orizzonte dettato da una visione profetica.
E la Chiesa non può rinunciare al suo ruolo profetico.

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