Va dritto al cuore del problema Alberto Cavaglion quando affronta la questione della memoria. Già nel titolo usa il plurale, memorie, perché le domande e le relative riflessioni poste non si fermano alla Giornata della Memoria, ma coinvolgono ogni manifestazione che intenda rinnovare il ricordo di fatti storici al fine di contribuire alla costruzione di una coscienza umana e civile all’insegna del rispetto.
Si tratta di ripensare la memoria ormai “degradata”. Liberarla dalle incrostazioni retoriche perché “tutti ricordano tutto, passa qualche anno e le stesse persone sembrano dimenticarsi di tutto”. Si tratta di rivalutare la sua dimensione interiore non tanto quella esteriore delle cerimonie, dei monumenti o delle lapidi, scoperte e presto abbandonate. Va a toccare l’individuo prima ancora della collettività.
La questione non si pone sul piano celebrativo, che rischia la banalizzazione dell’evento, ma anzitutto sul piano culturale. È il senso di quel passaggio da “gendarmi a giardinieri della Memoria” che sta a cuore all’autore. Paradossalmente la memoria rischia di essere mummificata, semplicemente custodita, esposta come in un vecchio museo priva della vitalità che invece dovrebbe animarla.
Cavaglion può dunque denunciare la “retorica della memoria” e spingersi a invocare ed evocare nuove strade per viverla. Sono i libri anzitutto ad esserne anima, “l’arma che risveglia dal letargo gli smemorati”, perché “di fronte a un Male estremo, molti non si curano della bellezza del dire”. Per questo il testo ne cita una gran quantità spaziando dalla saggistica alla narrativa.
Assieme ai libri ci sono i luoghi. La riflessione su di essi ne esalta la facoltà evocatrice sia in direzione positiva (la Ferrara di Bassani, il binario 21 della Stazione Centrale) sia soprattutto in prospettiva negativa. Qui si incrociano i “paesaggi contaminati” vissuti nella logica del sopralluogo, quasi permeati del perverso fascino del dolore e del Male. Cavaglion suggerisce invece di incontrare luoghi che forano i confini del tempo: Gorizia, città di confine, Ventimiglia città dei migranti, Genova e ciò che rimane del ponte Morandi.
Pagine forti che non si sottraggono a posizioni provocatorie soprattutto intorno alla scuola e alla fine si aprono ai sogni di “cose che non ci sono e vorrei che ci fossero”. Non è, di nuovo, abbandono a illusioni, piuttosto le ultime pagine vanno lette nella forza dell’immaginazione che consente di coltivare sogni che “godono il privilegio di essere colorati dalla letteratura che gode ottima salute”.
Decontamiare le memorie
Alberto Cavaglion
Add
16 euro