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Domenica 22 dicembre 2024

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La realtà di Kabul raccontata dal medico Silvio Galvagno

Originario di Manta, l’ortopedico ha operato più volte in missioni umanitarie in Afghanistan

La Guida - La realtà di Kabul raccontata dal medico Silvio Galvagno

Silvio Galvagno a Kabul

Manta – Il medico ortopedico Silvio Galvagno di Manta, classe 1953, conosce bene la realtà di Kabul, dove più volte ha operato in missioni umanitarie. Per la Casa editrice Primalpe, ha anche pubblicato il libro “Nell’inferno di Kabul”. Silvio Galvagno, uomo dal cuore generoso, ha messo nella sua vita al primo posto gli ‘ultimi’.

IL TAXI GIALLO

Alle 22.20 del primo novembre 2002, il medico ortopedico mantese scriveva dall’Afghanistan: “Ieri mattina uno sgangherato taxi giallo ci porta un uomo sulla quarantina, pelle ed ossa, gli occhi sbarrati, amputato alla coscia destra, con moncone di osso morto che esce dalla pelle, piaghe da decubito, vescica aperta con urine che colano libere, odore di marcio: è stato per un mese all’ospedale di Gardez (quattro ore di macchina da noi), ferito da una bomba durante combattimenti sul confine pakistano.

SCHELETRI VIVENTI

Dicono che l’ospedale di Gardez sia un lazzareto: vedendo questa larva umana mi scorrono davanti gli scheletri viventi dei campi di sterminio nazisti. Sempre in mattinata arriva da fuori Kabul un ferito da mina: Hamid, un giovane pastore, una grossa scheggia gli ha spezzato il midollo spinale e bucato un rene, è paralizzato, gli altri due pastori che erano con lui sono morti: due ore di intervento per strapparlo alla morte, ma poi resterà anche lui un poveretto sulla sedia a rotelle.Verso sera ci portano sei traumatizzati coinvolti in un incidente automobilistico in città: qui la gente guida da pazzi, non c’è rispetto per nessuno, e quasi sempre si tratta di pedoni investiti. Stanno aumentando anche i feriti da delinquenza comune in Kabul: cominciano a circolare sempre più dollari, i poveri e gli affamati crescono nella periferia con i profughi che stanno ritornando del Pakistan, ed è facile trarne le conclusioni.

BOMBE E GRANATE

Questa mattina presto, alle sei, arrivano due feriti da bombardamento dal nord Afghanistan: da alcuni giorni si stanno combattendo tra Mazar-e-Sharif e Shibirgan le truppe di Dostum e di un altro signorotto locale, ci dicono che sono intervenuti anche aerei americani. Subito dopo un pulmino scarica due giovani, feriti per il lancio di una granata durante una festa di matrimonio proprio qui in città a due passi da noi: e sì, perché questi dannati afgani vanno armati pure ai matrimoni, e la rissa ci scappa sovente!

STORIE UMANE DRAMMATICHE

Sono ritornato dopo cinque mesi a Kabul e non è cambiato nulla: il solito maledetto stillicidio quotidiano di feriti da mina, da bombardamento, da arma da fuoco. Il solito ospedale strapieno di storie umane drammatiche, di visi, di occhi, di sorrisi, di persone che stanno facendo la storia dimenticata di questo paese. In Afghanistan una intera generazione è nata e cresciuta con la guerra, con le armi: come posso pensare che la democrazia e la pace si creino e consolidino in poco tempo?

Kabul è comunque più viva che mai, la gente è operosa, qua e là stanno asfaltando le strade; dove le mine lo consentono, stanno coltivando di nuovo frutta e verdura. Vediamo molti camion pakistani portare farina, e da Kabul andare a Mazar, Herat, Kandhar. Certo i prezzi però stanno andando alle stelle: a Microrayon, un quartiere popolare di vecchie case russe, due camerette sudice senza acqua né luce costavano 15 dollari al mese sotto i talebani, ora l’affitto è salito a 150, ce lo raccontava un nostro medico afgano che ci abita (ed il cui stipendio è di 225 dollari al mese).

L’OSPEDALE SPERDUTO

Ad Emergency è stato chiesto dal governo afgano di farsi carico di un altro sperdutissimo ospedale distrettuale, Laskargah, ad ovest di Kandhar verso l’Iran: i quattro medici afgani di quel posto da inferno sono stati a cena da noi, cena rigorosamente afgana, seduti sui tappeti a gambe incrociate. Bisogna davvero cominciare da zero, come struttura e come personale locale”.

Silvio e Maria Teresa Galvagno

Silvio e Maria Teresa Galvagno

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