Il titolo poco attirava, l’autore sì. Lo yoga, pratica che oggi va per la maggiore, non rientra proprio tra i miei interessi, ma leggere Carrère sì, perché è uno di quegli autori che sanno raccontare e far pensare. Una prosa brillante e diversa da tutte le altre, che sa piazzare le sue riflessioni argute mentre meno te le aspetti.
Carrère vuole forse raccontare dello yoga, della meditazione e del tai-chi che pratica da trent’anni mentre racconta la sua vita, difficile, alle prese con la depressione e malinconia, quei mesi terribili trascorsi al Sainte-Anne, l’ospedale psichiatrico di Parigi, e il lutto di un amico perso nell’attentato a Charlie Hebdo. E il dolore emerge chiaramente in una “meditazione” sulla propria esistenza, una sorta di romanzo autobiografico. Nella prima parte emerge il racconto forse della sua idea originaria, con la confessione di voler scrivere una sorta di saggio sullo yoga e le varie tecniche di meditazione. E così si infila in un seminario di meditazione Vipassana che non era consentito abbandonare per dieci giorni, in cui uomini e donne vengono divisi, non sono a contatto con tecnologie e mondo esterno, e devono meditare praticamente tutto il giorno in enormi spazi comuni. Lui è lì con lo scopo, non proprio dichiarato, di scriverci un libro. Racconta tanto di sé, del motivo per cui si è approcciato alla meditazione, e si segue il flusso dei suoi pensieri. Nella seconda parte la vita reale prende il sopravvento e forse l’autore dimentica il motivo per cui aveva in iniziato il libro. È una vita reale fatta di terrorismo, di depressione, di ricerca, di un disturbo bipolare invalidante, di abissi.
Una scrittura ben lontana da tutte le sue opere precedenti, dal cinismo inarrivabile de “I baffi”, dal reporter storico di “Limonov” o dall’indagine di “L’avversario”. Eppure lo stile è sempre diretto, stringente e con quell’ironia che pervade tutto il racconto, anche quando parla di cultura e filosofia, dell’animo umano e delle sue infinite sfumature.
Yoga
di Emmanuel Carrère
Adeplhi
20 euro