Cuneo – Sono 292 i medici che hanno lasciato in Piemonte la sanità pubblica per lavorare nella sanità privata e di quesi ben 50 in provincia di Cuneo. 23 se ne sono andati dall’Asl Cn1, 18 dall’Aso Santa Croce e Carle e 9 dall’Asl Cn2. Sono i dati che riguardano le dimissioni volontarie del 2019 forniti dall’Anaao Assomed regionale che lancia un’allarme per la sanità pubblica piemontese, consapevole che le cose non sono migliorate nel 2020 e nel 2021 e che la pandemia ha lasciato ancora di più is ogni sul personale medico. Una pandemia che è rimasta praticamente a carico tutta della sanità pubblica.
“Il lavoro in ospedale non è più attrattivo – spiega Chiara Rivetti, segretaria regionale del sindacato – . Pochi decenni fa, essere assunti a tempo indeterminato in un reparto ospedaliero era un traguardo, l’obiettivo. Era il posto fisso di prestigio, che dava soddisfazione professionale, opportunità di carriera, una certa sicurezza economica. Ci si realizzava. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di dimettersi dagli ospedali. Oggi non è più così. Siamo la quarta Regione d’Italia come percentuale di medici che decidono di licenziarsi, dopo Marche, Veneto e Valle d’Aosta. 292 colleghi, hanno visto un’alternativa migliore nel privato e sono tanti. Migliore dal punto di vista economico, forse, ma certamente di qualità di vita”.
Per il Piemonte è un triste primato, il 3,5% dei medici ospedalieri abbandonano il pubblico, contro una media nazionale del 2,9%, ma per il cuneese va ancora peggio con medie sopra il 4,1%.
Le specialità con maggiore emorragia sono state, in Piemonte nel 2019, Rianimazione, Medicina d’Urgenza, perché prevedono molti turni disagevoli ed un lavoro usurante, Pediatria, perché offre allettanti sbocchi sul territorio, e a seguire Ortopedia e Ginecologia, che permettono di lavorare nel privato.
“Se analizziamo il trend degli ultimi 10 anni, .- continua l’Anaao – i dati sono allarmanti: la percentuale di medici piemontesi che si sono dimessi dagli ospedali è passata dai 92 del 2009 ai 292 del 2019. Anche se analizziamo i dati in relazione al numero totale di medici dipendenti la situazione è allarmante: si è passati dal 1% di dimessi nel 2009 al 3,5% nel 2019. In 10 anni, i medici che si licenziano sono aumentati di tre volte e mezza.
Se analizziamo infine l’andamento, è da notare come la curva dei licenziati si impenni proprio negli ultimi 3 anni. Complessivamente, si sono dimesse più donne che uomini (il 3,2% del totale delle dottoresse, contro il 2.8% dei colleghi uomini). Questi dati confermano il quadro di gravissima sofferenza, non solo dei professionisti, ma anche del Sistema Sanitario nel suo complesso”.
Lo studio dell’Anaao riporta anche i problemi che i medici segnalano negli ospedali, problemi che spesso invitano a “cambiare aria”. Nove i punti analizzati: il taglio del personale e la carenza di specialisti hanno creato organici sempre più ridotti rendendo insostenibile il carico di lavoro; la presenza delle donne in sanità è in progressivo aumento, e i turni disagevoli previsti dal lavoro in ospedale non consentono, soprattutto a loro, di dedicarsi alla famiglia come vorrebbero; il lavoro burocratico è diventato intollerabile; l’autonomia decisionale è svilita, la professionalità poco premiata e per nulla incentivata; il coinvolgimento nei processi decisionali è assente; il loro lavoro ha perso valore, anche economico, come il proprio ruolo sociale; la solitudine di fronte a tutte le mancanze e le carenze organizzative è pesante da tollerare; il rischio di denunce legali e aggressioni, verbali e fisiche, è aumentato negli anni; le ambizioni di carriera sono frustrate.
“Il privato diventa sempre più attrattivo, anche per la possibilità di un trattamento fiscale agevolato del reddito prodotto – conclude Anaao – La medicina di famiglia o specialistica ambulatoriale per il fatto di non conoscere il lavoro notturno e festivo. I medici ospedalieri si sentono pedine per coprire i turni, alle quali mandare ordini di servizio, chiedere di sopperire alle carenze del sistema, dalle quali pretendere sempre maggiore produzione ed efficienza. Non parte di un progetto, ma elementi marginali, sostituibili, che pesano sul bilancio quando sono malati, in gravidanza o in congedo, anche per motivi formativi”:
L’allarme è ancora maggiore perché c’è da scommettere che la pandemia Covid aggraverà le fuoriuscite. E lo vedremo probabilmente dal 2021, perché nel 2020 l’emergenza e lo spirito di servizio ha certamente fatto posticipare la scelta di dimettersi.