Succede di rado che una ricerca storica su eventi occorsi alla città un secolo fa sia così legata all’oggi, che il ricordo di un passato neppure tanto recente riesca a parlare la lingua del presente. La spiegazione è data dallo stesso autore: “La storia se fosse un poco più tenuta in considerazione avrebbe ancora qualcosa da insegnare per una vita più giusta nel nostro forse troppo orgoglioso mondo”.
Giovanni Dutto affronta il tema delle ripetute epidemie di colera nell’800 sottolineando in ogni occasione il clima contraddittorio e confuso che di fatto le favorì. Se da un lato il XIX secolo è il momento della svolta scientifica, della ricerca tecnica dai prodigiosi risultati, dall’altro porta con sé una trasformazione a livello sociale ed economico che ha il suo ruolo nello spiegare la diffusione del morbo.
Non si tratta solo delle condizioni igieniche precarie in cui versano i quartieri urbani, peraltro bacino privilegiato di contagio. In gioco c’è anche un approccio della società borghese al mondo economico che privilegia il commercio, la mobilità di merci e persone. Il capitolo sulla diffusione della malattia fa un quadro di come il contagio si espanda rapidamente chiudendo in una morsa il territorio italiano. Dall’India all’Iran poi alle steppe russe, all’Europa: quello che allora era il centro del mondo precipita nel cuore di un’enorme area di contagio cui la scienza medica cerca di dare rispose come può.
E i rimedi, riportati sulle pagine dei giornali, oggi spesso fanno sorridere, ma vanno letti nella prospettiva del tempo. Nel 1854 la Gazzetta delle Alpi consiglia, per esempio, “frequenti e ripetuti clisteri composti di quattro bianchi d’uova sciolti in otto once d’acqua freddissima insieme a piccoli cucchiai di sciroppo di tamarindo e gomma arabica”. La paura è territorio fertile per soluzioni stravaganti.
Ed è attraverso le pagine dei giornali locali che Giovanni Dutto ricostruisce le ripetute insorgenze della malattia. Gli articoli testimoniano, più ancora dei documenti ufficiali dell’Amministrazione civica, il clima che si viveva nelle strade della città. Riportano le ingiunzioni delle autorità, ma anche le paure della popolazione, i dati statistici, gli interventi urbanistici per fronteggiare il dilagare del colera. La questione dei lazzaretti non è cosa da poco per il capoluogo come per le altre città. Poi è aperta la questione igienica di abitazioni e strade, dell’alimentazione fino al commercio e naturalmente ai divertimenti nelle feste patronali.
Non fu sottovalutata neanche la portata psicologica delle notizie. Il suono a morto delle campane, i cortei funebri, la stessa predicazione nelle chiese sono aspetti di questa vita al tempo del colera. Infine il desiderio di fare festa non appena si percepiva qualche segnale di alleggerimento della pressione è l’ulteriore conferma delle conseguenze sul vivere. Un panorama a vasto raggio, dunque, in cui non è difficile riconoscersi oggi in molti aspetti anche e soprattutto del comportamento quotidiano.
Le epidemia di colera a Cuneo nel 1800
di Giovanni Dutto
Primalpe
13 euro