Gli ultimi dati sul gioco d’azzardo in Piemonte, elaborati dall’Ires, rilevano al 2019 un calo (rispetto al 2017) del 9,7% (a fronte di un aumento dell’1,6% nel resto d’Italia), le perdite da gioco sono diminuite del 17,8% e i due terzi delle somme non spese nel 2018 non sono state reinvestite in altri giochi. In un biennio si è più che dimezzato il numero delle slot machine che sono passate da 26 mila in oltre 5.700 esercizi commerciali a 12.500 in 1.800 esercizi. Nel primo semestre 2018 il volume di gioco nella regione piemontese, dopo l’entrata in vigore del distanziometro, si è ridotto di 232 milioni di euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, le perdite sono diminuite di 163 milioni.
Pierluigi Dovis, dal suo osservatorio di incaricato regionale Caritas, ritiene che i calo sia ancora reale dopo un anno di pandemia?
L’impressione è che il fenomeno sia ancora largamente presente sul territorio della nostra regione e, anzi, in qualche modo la pandemia e il conseguente lockdown protratto abbia contribuito a fare evolvere i numeri. Ma con un importante cambiamento: non più utilizzando quasi esclusivamente sale gioco o macchinette posizionate nei bar, ma soprattutto attraverso il gioco on line. Alcuni Casinò hanno ormai più che una vetrina in Internet ed è possibile accedere sia a forme di scommessa che a veri e propri giochi solo tramite approccio virtuale. Virtuale nei modi ma non nell’incidenza sul portafoglio. Una stima abbastanza attendibile valuta in circa il 10% il numero delle persone che si affacciano ai centri di ascolto della rete ecclesiale avendo alle spalle storie di gioco. Ma pensiamo siano di più vista la forte difficoltà ad ammettere di essere stati stregati dal gioco e le tante forme di sotterfugio che la dipendenza porta con sé. Un indizio che sempre più spesso manifesta qualche forma di eccessiva attenzione al gioco è il carico di sovraindebitamento della famiglia. Quindi, calo nell’utilizzo dei modi più classici, ma tendenza all’incremento attraverso altri canali.
Qual è il profilo dei giocatori che bussano alla porta dei centri di aiuto Caritas in cerca di sostegno? Come intervenite?
Nessuno viene alla Caritas per un debito di gioco o per ampliare le possibilità economiche da investire nelle macchinette: non ne avrebbe alcun aiuto. In genere si presentano i conviventi della persona colpita dalla mania per palesare una difficoltà economica sempre più espressa nella mancanza di beni basilari per la vita quotidiana, a suffragio del presupposto che il gioco va ad insinuarsi nella concretezza dell’esistenza e non si ferma al portafoglio. I nostri dati parlano di una maggioranza di giocatori di genere maschile, principalmente italiani, con una tendenza a trovarsi nella fascia di età adulta e superadulta. Soli, ma soprattutto con una famiglia alle spalle che ne porta immediatamente le conseguenze e non solo di tipo economico. La perdita di fiducia tra i membri del nucleo è alla base di veri e propri disastri relazionali e di divisioni profonde. Ultimamente sembra in crescita anche l’utilizzo del gioco on line da parte dei ragazzi per ore seduti davanti allo schermo e spesso con la disponibilità di carte di debito prepagate. Non è inusuale che alcuni abbiano escogitato sistemi per utilizzare i fondi del reddito di cittadinanza anche a questo scopo, con l’aiuto di amici o esercenti disponibili. Molto difficile intervenire, specie se c’è ormai vera dipendenza. Per questo la rete Caritas si sta appoggiando a competenti professionisti pubblici, alle fondazioni antiusura, ai consulenti finanziari. Abbiamo aumentato il discernimento prima di intervenire con contributi economici. Condividendo la prospettiva con la pastorale del lavoro e con la pastorale della salute riteniamo che occorra una forte azione educativa e una capacità di accompagnamento che richiedono certamente il sostegno delle comunità, la vicinanza della fraternità, la volontà di non prendere sottogamba il problema da parte di tutti, Istituzioni comprese.
In questi giorni il dibattito è incentrato sulla volontà dell’attuale governo regionale di cambiare la legge 9/2016 contro il gioco d’azzardo patologico, approvata dall’allora giunta Chiamparino. È soprattutto una questione legislativa la lotta contro la ludopatia?
Si tratta di una lotta contro il vizio, non contro i ludopatici o contro gli operatori di questo settore economico. Pertanto, ciò che occorre è rafforzare tutti gli strumenti a disposizione: quelli educativi, ma anche quelli dell’accompagnamento personale e di gruppo, quelli culturali e anche i legislativi. Non possiamo trincerarci dietro la convinzione che il gioco sia una semplice scelta personale di cui ogni singolo è responsabile. Ci sono vari elementi di contorno che incidono in maniera significativa sulle scelte. Tenere gli argini efficienti e sufficientemente alti è una visione lungimirante da parte di società ed istituzioni, specialmente in momenti così faticosi in cui si ripone la residua speranza in ogni pur tenue barlume di probabilità. Tra gli strumenti ci deve essere anche ciò che consente agli operatori del settore di non cadere essi stessi in condizione di crisi, incentivando e guidando una vera e propria trasformazione e riqualificazione di settore. Lo si consenta come battuta ad uno che sta in trincea: non possiamo permetterci di fare passi indietro, nemmeno in nome dei vantaggi economici in tempo di dura crisi, perché le conseguenze sulla vita delle persone sono troppo importanti.