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Venerdì 22 novembre 2024

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La provincia di Cuneo è “prima fra i primi” in numeri e in qualità

Roberto Moncalvo traccia il presente e il futuro dell'agricoltura, tra i problemi che la pandemia ha trascinato alla forza dei giovani che scelgono il settore

La Guida - La provincia di Cuneo è “prima fra i primi” in numeri e in qualità

Roberto Moncalvo è delegato Confederale di Coldiretti Cuneo, nonché presidente di Coldiretti Piemonte. 40 anni, laureato in ingegneria, ha preferito impegnarsi nell’azienda agricola familiare a Settimo Torinese. Nel 1996 entra a far parte del Movimento Giovanile della Coldiretti e copre mol- to ruoli all’interno della principale organizzazione agricola europea fino ad arrivare nel 2013, all’età di 33 anni, ad es- sere presidente nazionale per il quinquennio, fino al 2018.
Quale ruolo ha l’agricoltura in provincia di Cuneo oggi?
Il ruolo del settore è fondamentale ed è sotto gli occhi di tutto. Una su tre delle imprese cuneesi è agricola (il 28,8%) e sono aziende che guardano al futuro perché una su cinque è di under 35 che significa che i giovani sono attirati dall’agricoltura e la mantengono viva. Cuneo ha una potenza economica enorme nel settore sia nei numeri sia nella modernizzazione e questo significa leadership a livello italiano e non solo ma europeo. Il ricambio generazionale vede l’Italia al primo posto e Cuneo prima fra i primi.
Anche nel difficile anno 2020?
Sì e sotto un certo punto di vista ancor di più. Il 2020 è stato un anno difficile anche per l’agricoltura e alcuni dati fotografano il problema: l’inflazione sui prodotti alimentari è stata dell’1,3%, i prezzi ai consumatori sono saliti tra il 28 e 30% ma il prezzo pagato agli agricoltori è stato anche del 35% in meno. Sono gli effetti distorti non tanto della pandemia ma di un mercato fasullo, che mette in crisi i produttori non per i consumi che sono cresciuti, ma per un’ingiusta speculazione nella filiera che ricade su chi lavora. In provincia ne hanno pagato settori all’avanguardia come la ristorazione, gli alberghieri, il vino, la carne bovina piemontese, prodotti di alta qualità che avevano grande spazio proprio nella ristorazione, che trascinavano il comparto. Gli agriturismi per esempio sono in difficoltà più di altri nonostante il territorio abbia tante eccellenze, tanti prodotti davvero unici.
Chi specula?
È il sistema della grande distribuzione così come è che non va. Un esempio su tutti: la carne bovina eccellenza della provincia: si allevano 220.000 capi di piemontese sui 315.000 totali ma la grande distribuzione punta ai numeri e non alla qualità e questo sistema ha fatto in modo che per ogni capo gli allevatori abbiano perso 6/700 euro. Ma la piemontese non può essere usata come specchietto per le allodole per attirare i consumatori e poi in modo massiccio si venda altra carne. Altro ruolo non chiaro è quello dei macellatori che spesso si sono approfittati della situazione di difficoltà, con la ristorazione che non ha lavorato per molti mesi in pandemia. Situazione che si è verificata anche per il prezzo della carne suina, anche se in modo paradossale perché è un consumo legato alla stagionatura.
Per questo avete battagliato per una norma sull’etichettatura?
Certamente, l’etichettatura è fondamentale perché fa chiarezza nei confronti dei consumatori e rende giustizia a chi lavora bene. Il decreto è del luglio 2020, prevedeva sei mesi per far fuori le scorte, e da subito si è ottenuto un ottimo risultato, la crescita del 10% dei prezzi pagati agli allevatori e non solo ma c’è stata una richiesta più alta, segnale che i consumatori vogliono avere garanzie di qualità.
Ma come fare a riconoscere un giusto prezzo?
Tre esempi provinciali significativi sono il latte, la frutta e le nocciole. Abbiamo condotto una battaglia decennale ma siamo riusciti a sottoscrivere il primo accordo di filiera sul latte in polvere di qualità con un prezzo indicizzato sui costi di mercato ma anche sui costi di produzione. Accordi fatto tra Coldiretti, Inalpi e Ferrero che lo hanno sottoscritto: è un unicum europeo che si può copiare anche in altri settori perché vengono inseriti parametri oggettivi che rispettano il lavoro e il suo costo e dimostrano che si può fare qualità anche con il latte in polvere. Se funziona nelle grandi commodity figuriamoci nelle eccellenze di cui il cuneese è pieno.
Per la frutta non ci sono problemi più ampi, tra cui anche quello difficile dei braccianti?
La frutta è un comparto da 500 milioni di euro, una produzione unica che spesso proprio paga queste ingiustizie con ricavi più bassi dei costi di produzione. Il Governo Draghi ha intrapreso da subito l’impegno di recepire la direttiva europea contro le prati- che commerciali sleali nei primi sei mesi del 2021 in modo che le inefficienze della filiera non vengano scaricate sugli agricoltori ma si ragioni su un prezzo di valutazione di costi di produzione, perché è sleale produrre sotto costo. Sarebbe già fondamentale per questa stagione della frutta della pesca nettarina estiva ma anche per poi per kiwi e mele. Avrebbe immediati vantaggi: toglie le aziende dalla crisi e restituisce serenità tra i produttori anche per ricreare operazioni di ospitalità. Il Saluzzese ha subito in questi anni attacchi ingiusti: è in difficoltà ma in realtà anche sul rapporto tra imprenditori e lavoratori è sempre stata un’eccellenza facendo ben di più di quanto gli spettava e in questa situazione conflittuale si sono inseriti anche finti intermediari che ne hanno approfittato. La frutta d Saluzzo storicamente è stata raccolta prima dalle persone della montagna, poi dagli studenti, dai lavoratori dell’Est e ora dal quelli dei paesi dell’Africa e sempre con ottimi risultati di integrazione e solidarietà. I nostri frutticoltori ospitano i lavoratori da sempre nelle aziende pur non avendo un obbligo di legge. Se si procederà anche in Italia sulla diretti- va europea contro le pratiche commerciali sleali si potrà fare ancora di più.
È vero che la nocciola è una delle produzioni più in crescita in provincia?
È vero ma anche in questo caso c’è un problema di prezzi. Abbiamo una crescita di produzione enorme, perché nei prossimi 5 anni triplicheremo la superficie di raccolta di un prodotto che in questa terra è di grandissima qualità. Ma anche c’è una situazione paradossale perché nel 2020 si è pagata allo stesso modo la nostra nocciola piemontese e quella turca, eppure non c’è paragone in termini di qualità, di sostenibilità ambientale e di sostenibilità sociale. Lo descrive bene nel docufilm Stefano Rogliatti “Né tonda né gentile” raccontando le condizioni sociali di ingiustizia con cui viene prodotta la nocciola turca. È una concorrenza sleale e l’industria che usa la nocciola non può fare finta di niente.
Il dato sugli under 35 che citava è significativo ma per- ché un giovane oggi dovrebbe occuparsi in agricoltura? E chi sono i giovani cuneesi che lavorano in agricoltura?
I giovani sono la forza dell’agricoltura e Cuneo a che in questo caso mostra uno scenario significativo. Il mix generazionale è una delle carte vincenti del settore, un misto di continuità familiare e aziende nuove. Oggi la continuità familiare c’è più che mai, ma i giovani studiano, hanno possibilità di fare esperienze fuori che prima non c’erano e poi portano questo bagaglio di conoscenza nella propria azienda trasformandola e arricchendola. Poi ci sono nuovi agricoltori che scelgono l’agricoltura come prospettiva di vita non solo di lavoro. Una grande scelta valoriale in tutti e due i casi, perché ci riconducono al valore del cibo e della sua centralità. La pandemia lo ha sottolineato: ci ricordiamo la corsa ai supermercati nei primi giorni del lockdown per la paura di rimanere senza scorte di cibo?
Dunque agricoltura come scelta valoriale ma anche di sviluppo, di lavoro e ambientale?
L’attenzione sul cibo ha portato attenzione sul dove arriva e questo porta lavoro. Sviluppo, controlli di qualità, rivalutazione ambientale, l’agricoltura è al secondo posto del Pil italiano ma se si guarda la ricaduta in termini ampi su turismo, fruizione di aree montane, e marginali, ambiente siamo ben oltre il 50% del Pil nazionale e non può essere ai margini ma al centro. L’agricoltura è scelta di vita, basti pensare ai manager che scelgono non solo di vivere in campagna o in montagna e di cambiare vita e lavoro. Tutte scelte giuste perché l’agricoltura ha bisogno oggi di un mix di competenze molto ampio non più solo periti agrari ma tanto altro. Ho 40 anni è ricordo come erano visti gli agricoltori quando ero bambino ora la percezione è tutta cambiata.
E la montagna?
La montagna non è scelta romantica e naif come molti pensano. È qualità di vita anche se con più difficoltà: si può vivere e lavorare in montagna non solo perché magari si fa arrivare la banda larga e si riesce a fare in montagna quello che si fa in centro città, ma per far vivere di montagna, far ritornare le condizioni per un’economia locale. Agricoltura montana significa forestazione, recupero dei territori marginali, ritorno di vita, famiglie, giovani, bambini e la- voro nelle valli. Per questo c’è anche bisogno di nuove visioni e più sicurezza. Basti pensare al problema allevatori e lupo, o alla fauna selvatica. Bisogna dare nuove norme, e di questi giorni il problema sulla qualità dell’aria e il semaforo anti-smog che impedisce di fatto il lavoro delle aziende agricole.
I giovani sono il futuro ma i pensionati in agricoltura giocano un ruolo che è ancora importante?
Non a caso i pensionati in Coldiretti sono fondamentali. In provincia la dimensione hobbistica ha un valore culturale importantissimo e il lockdown lo ha dimostrato ancora di più, per questo ci siamo battuti perché si potesse continuare anche nello stop a curare l’orto. Ma i pensionati hanno un ruolo fondamentale e attivo nelle aziende familiari sia in termini numerici sia in termini di esperienza. Spesso la continuità che un pensionato può dare è sostanziale per la vita di un’azienda familiare.

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