Nella sua casa dietro la chiesa della Madonna della Neve in borgata Piatta Soprana, continua a mantenere viva la tradizione del passato.
“Ho cominciato a 13 anni quando nelle nostre famiglie di montagna c’era bisogno del lavoro di tutti, anche dei bambini, per battere la fame”.
Di cosa si viveva allora alla Piatta Soprana?
“Eravamo 42 persone, si seminava il grano, le patate, qualche mucca nella stalla, qualcuno andava in Francia, altri a tagliare il grano in pianura e d’inverno facevamo le “sabache”. Per venderle si scendeva a Monterosso, 5 lire l’una e con quei soldi ci compravamo un paio di pantaloni di fustagno”.
Oggi per una bella gerla da portare a spalle Giuseppe prende anche 50 euro.
“Ma ci vogliono due giorni di lavoro e poi le nostre sono ben diverse da quelle fatte in serie: noi di Montemale siamo sempre stati i migliori”.
E’ proprio per questo che Giuseppe è diventato un “maestro” e nel cortile di casa sua una decina di allievi stanno cercando di “rubargli” i segreti del mestiere.
Si parte dalla scelta del legno, tutte pianticelle di castagno che vanno ridotte in lamelle sottili, si mettono a scaldare sopra il forno facendo attenzione a “cuocerle” senza bruciarle, poi a bagno dentro una vasca d’acqua per ammorbidirle e renderle elastiche, un’ultima piallatura e si può cominciare. Il punto più difficile?
“Quando arrivi a metà della “sabaca” – dice Giuseppe – perché lì tutti gli altri vanno su diritti, mentre noi di Montemale siamo degli artisti a dargli la curvatura che si adatta alla schiena”.
Una vita passata alla Piatta Soprana, lui e la moglie Anna Maria, “Nineta”.
“Tanti anni fa ci han fatto la proposta di andare alla Michelin, ma noi siamo rimasti qui. Certo, a pensarci, oggi avrei una pensione da 1.300 euro: la nostra invece è di appena 500, ma non mi lamento: siamo in due, abbiamo l’orto, la mucca, se abbiamo bisogno di qualcosa la figlia Renata ce lo porta”.
Mai avuto rimpianti?
“Per niente: ho vissuto benissimo anche senza la patente, senza la macchina e senza aver mai visto il mare. Ho allevato le mie bestie, con la mula andavo ad arare tutti i campi della Piatta, facevo le ceste, cuocevo il pane, d’autunno la caccia: ho vissuto tranquillo, ho sempre dormito fin che volevo, sono stato libero… mentre in fabbrica”.
Mi guarda con un sorriso.
“Prendiamo qualcosa? Nineta, vai a fare il caffè”.