Cuneo – Sarà la grande fuga dagli ospedali pubblici? Stando al sondaggio svolto tra i suoi associati dall’Anaao Assomed, il sindacato che raccoglie la maggior parte dei medici degli ospedali, sembra proprio essere così. Il Codid-19 sta iniziando a lasciare, oltre morti e malati, anche strascichi pesanti dal punto di vista lavorativo e delle motivazioni al lavoro che spingono proprio coloro che sono stati e continuano ad essere da febbraio in avanti in prima linea nella battaglia alla malattia. Solo il 54,3% dei medici ospedalieri di oggi pensa di lavorare ancora in un ospedale pubblico nei prossimi 2 anni. E oltre il 75% ritiene che il proprio lavoro non sia stato valorizzato a dovere durante la pandemia, mentre i dirigenti sanitari danno, in media, un giudizio più positivo.
“Le ragioni che spingono ad abbandonare gli ospedali – dicono all’Anaao Assomed -, fenomeno già registrato in Inghilterra e in Svezia ed ora anche in Germania, sono riassumibili in un comprensibile spirito di sopravvivenza. L’eccesso dei carichi di lavoro, legato a una carenza numerica persistente al di la della giostra dei numeri sulle assunzioni, la rischiosità del lavoro, la sua cattiva organizzazione e lo scarso coinvolgimento nelle decisioni che lo riguardano, un problema per il 60.3% dei medici, insieme con una retribuzione non adeguata all’impegno richiesto, rappresentano i fattori determinanti. I medici ospedalieri, come anche i dirigenti sanitari, si sentono schiacciati da una macchina che esige troppo e che nemmeno ascolta la loro voce, svalutati e frustrati da un’organizzazione del lavoro che non sembra avere tra le priorità i loro bisogni e le loro necessità, sia come lavoratori che come persone. È ormai chiaro che il perseguimento della sola efficienza, misurata guardando ai bilanci e agli indicatori numerici e perseguita attraverso progressive riduzioni delle risorse disponibili, è un nemico della resilienza del sistema nel suo insieme”.
Per evitare il disastro serve un cambiamento radicale rispetto alle politiche del passato ma aumentare le risorse e coinvolgere i professionisti nei processi decisionali che governano la macchina ospedaliera. Tappare i buchi non basterà senza rendere compatibile la professione ospedaliera con le esigenze della vita al di fuori dell’ospedale, specie per le donne: quasi il 75% delle donne medico si dichiara insoddisfatto, in qualche misura, della conciliazione tra vita privata e lavoro, il 20% molto insoddisfatto e sono già diverse anche nel cuneese, ad aver lasciato la professione per la famiglia.