È una tranquilla mattina di metà settimana. Spedisco i figli a scuola, poi mi accingo ad iniziare la mia giornata di lavoro. Controllo rapidamente le mail dal telefono, e all’improvviso mi balza agli occhi un messaggio lampeggiante che non avevo notato. Immuni.
Si è svegliata dal suo letargo di inizio giugno, per avvisarmi che tre giorni prima sono stata a contatto, a meno di due metri e per più di un quarto d’ora, con una persona poi trovata positiva al Covid. Bontà sua, l’app Immuni non mi dice né dove né a che ora (ah, la privacy) ma almeno la data. Domenica.
Una normale tranquilla domenica autunnale, fatta di Messa, di passeggiate in città, di incontri, di chiacchierate.
Ho il ricordo preciso di non avere mai tolto la mascherina. E d’altra parte, Immuni non lo sa, né può dirmi, se il mio “contatto” è avvenuto con qualcuno con cui ho chiacchierato o con qualcuno che mi dava le spalle
Sono tranquilla, non sono mai stata particolarmente ansiosa.
Però. Il dubbio si insinua. Se tutti avessero scaricato Immuni, oggi sarebbe più semplice tracciare movimenti e contatti di chi poi risulta positivo, dando la possibilità di arginare il dilagare della pandemia. Se tutti avessero preso sul serio Immuni – Als comprese – forse sarebbe stato possibile evitare qualche focolaio. L’incendio andrebbe spento, e questo avverrà solo attraverso il comportamento responsabile del singolo.
Penso a come tutelare i nonni dei miei figli. Penso che il mio lavoro – quello dell’insegnante – non permetta approssimazioni.
Munita di buoni propositi e velleità di “cittadina esemplare”, faccio quello che dice di fare l’app. Telefono al mio medico di base.
“Tampone subito, isolamento fiduciario e in malattia finché non riceverà l’esito”. “Cosa devo fare esattamente?”; “Niente. La inserisco nel portale Covid, verrà contattata dall’Asl”.
E su quel tempo verbale al futuro passivo si incagliano immediatamente le mie speranze che l’avverbio “subito” sia così realistico. Usiamo sempre il futuro semplice, non so se ci avete mai fatto caso, con una sfumatura di indeterminatezza, di vaghezza. L’Asl mi telefonerà? quando?
Lascio che passi la mattinata, e poi ragiono come la proverbiale montagna di Maometto. Se l’Asl non mi chiama, sarò io chiamare. Il mio isolamento fiduciario di dieci giorni potrebbe accorciarsi, e di molto, se riuscissi a sottopormi ad un tampone e questo risultasse negativo. Penso alle ricadute personali e professionali (più personali, confesso) del murarmi viva per dieci lunghissimi giorni, pur stando bene. A fine settembre avevo letto dell’esistenza di una specie di Drive in, a Cuneo, con prenotazione obbligatoria, che a ottobre sarebbe stato “implementato”. Perciò rintraccio su Internet uno degli articoli che lo annunciavano, con tanto di numeri dell’Asl dedicati all’emergenza. 57 tentativi, non uno solo: il cellulare risulterà sempre staccato, il numero fisso sempre occupato. Mi arrendo all’evidenza di un centralino ingolfato, nel frattempo è arrivata la sera.
Il mattino dopo – giovedì, secondo giorno di malattia, per l’Inps – decido di forzare un po’ la mano. Sono pur sempre un’insegnante, e forse posso utilizzare uno degli “hotspot scolastici”. Purtroppo non posso avvalermi del servizio di screening gestito dal camper parcheggiato in Via Bassignano. Il personale è meraviglioso – l’ho constatato di persona perché anche i miei figli, in un’altra circostanza sono già stati “tamponati” – ma la loro efficienza è riservata agli studenti, ed esclude il personale scolastico.
Così devo optare per uno degli hotspot scolastici “senza prenotazione”, così avevo letto. Mondovì o Savigliano? Mondovì, mi sembra più vicino.
Affronto stoicamente il viaggio, la coda, i furbi che pensano di prendere la fila giusta, l’infermiere burbero che mi apostrofa con un Chi-gliel’ha-detto-di-venire-qua-senza-una-prenotazione. Tampone e un foglio di ritiro referto, che piego nella borsa senza farci caso. Avverto il mio medico di base e aspetto. Passano i giorni, arriva il fine settimana, ma non l’esito del tampone. Faccio un timido tentativo con la guardia medica: musichette, attesa, “non siamo noi che gestiamo questo tipo di informazioni”.
Mi interrogo sui dati che vengono trasmessi quotidianamente dai media: qualcuno evidentemente li conosce, ma perché è così faticoso trasmetterli ai diretti interessati?
Poi l’improvvisa intuizione. I referti online. Perché non ci ho pensato prima? Provo ad accedere con i miei dati (io ho uno spid, ma in effetti è sufficiente codice fiscale, tessera sanitaria e numero del referto), recupero il foglio dimenticato in fondo alla borsa e in pochi minuti scarico e stampo il referto. Negativo. Ed era già pronto da due giorni.
Posso smettere di dare il tormento al mio medico, ai centralini dell’Asl e a me stessa. Posso uscire dall’isolamento fiduciario e riprendere la mia vita normale, ma intanto ho perso tre giorni di lavoro e una partitella di calcio di mio figlio.
In compenso ho vinto tante domande e una certezza. L’hotspot di Cuneo esiste o è stato solo un annuncio sui giornali? Esiste un tracciamento dei possibili contatti, come auspicato dal Comitato Tecnico Scientifico, o all’aumentare dei casi le Asl sono già in affanno? E davvero è l’Asl ad avvisare? Perché, rispetto alle segnalazioni di contatto con positivi, alcuni medici danno la possibilità di accedere al tampone subito (come fortunatamente è successo a me) ed altri lasciano i loro pazienti nel limbo dell’isolamento fiduciario? Perché gli esiti dei tamponi – che pure sono trasmessi quotidianamente alla protezione civile – non vengono comunicati con altrettanta sollecitudine ai diretti interessati? Quante ore di lavoro, quante giornate di scuola si buttano via nelle attese create da un sistema che, almeno qui in Piemonte, sembra lento e farraginoso? Perché nei mesi di tregua non si è messo a punto un sistema più incisivo, che non facesse ricadere tutto sulle spalle di pediatri e medici di base?
Perché nessuno si preoccupa di dire ai cittadini che, con una minima dimestichezza con il web, possono loro stessi consultare i referti on line?
La mia unica certezza riguarda Immuni. L’avevo scaricata perché mi sembrava una cosa intelligente. In fondo – mi ero detta – abbiamo venduto l’anima al diavolo con tutti gli altri social, Immuni mi sembrava tutto sommato utile e innocua. Si è rivelata inutile e dannosa, penso che la disattiverò.