Tempo d’estate, tempo di letture e tempi di riflessione. Quest’anno anche tempi di riflessioni inevitabilmente più profonde, spinte dall’invisible e tuttora indomabile coronavirus. Leggendo qua e là i supplementi culturali dei quotidiani, attira l’attenzione un’interessante iniziativa avviata circa vent’anni fa a Copenhagen e oggi sparsa in più di 80 Paesi nel mondo: la libreria vivente (The Human Library), ossia quando le persone vere e le loro storie di vita si trasformano in libri viventi, da consultare.
Partendo dall’idea che un libro non si debba giudicare dalla copertina e che, nella stessa ottica, un uomo non debba essere giudicato a prima vista, l’iniziativa offre la possibilità al “lettore” di dialogare con una persona, in carne e ossa, disponibile a raccontare della sua vita, della sua storia e delle sue esperienze. Secondo varie modalità, temi di conversazione e limiti di tempo, le persone si parlano come in un libro aperto, facendo spesso superare pregiudizi, stereotipi e discriminazioni.
Un’esperienza che ha affascinato anche il Consiglio d’Europa, che, dal 2005 ha riconosciuto la Biblioteca vivente come un valido strumento a favore dell’integrazione sociale e del dialogo interculturale.