La pandemia di coronavirus ha messo in evidenza le potenzialità dell’uso delle nuove tecnologie in vari settori della nostra vita, dal lavoro all’istruzione, dai rapporti virtuali con gli amici all’accesso all’amministrazione pubblica.
Un nuovo modo di vivere che non nasconde tuttavia, fra gli stessi cittadini europei, una certa giustificata apprensione sull’uso dei loro dati personali. Ne é testimone un recente sondaggio del 23 luglio scorso, effettuato dell’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione Europea : il 55% delle persone intervistate ha espresso preoccupazione riguardo al fatto che i contenuti condivisi online possano essere consultati senza accordo, da entità inaffidabili o malintenzionate. Più del 30% dei cittadini interrogati teme la pirateria informatica e l’uso dei propri dati da parte di governi stranieri.
Ma ad attirare maggiormente l’attenzione sulla vulnerabilità della protezione dei dati personali è stata la sentenza della Corte di Giustizia del 16 luglio scorso che ha bocciato lo Scudo di protezione dei dati UE-USA, giudicandolo inadeguato a proteggere, in tutta sicurezza, il trasferimento di dati personali europei verso gli Stati Uniti. Al centro della sentenza l’incompatibilità delle leggi di sorveglianza degli Stati Uniti con quelle europee e la mancanza di una completa protezione dei diritti dei consumatori europei.