Sconfiggere la morte. La vittoria definitiva dell’umanità per alcuni, il punto di non ritorno per altri. Don DeLillo affonda le mani in questo tema scivoloso e complesso che coinvolge la natura dell’essere umano e il suo stare al mondo, dalla dimensione religiosa alle relazioni sociali, e ci restituisce un’indagine sul rapporto tra genitori e figli e sull’accettazione, o meno, della morte.
Le vicende del racconto sono lineari o quasi, come raramente in DeLillo. Jeffrey Lockhart accompagna il padre, uomo dalla ricchezza sconfinata, nella sede supersegreta di un’azienda biomedica che lavora alla criogenesi e ha messo a punto la possibilità di preservare i corpi e le coscienze fino al giorno in cui la medicina sarà in grado di curare ogni malattia. Il padre e la sua attuale moglie, malata, hanno deciso di seguire questa strada con fede piena e (quasi) senza dubbi. Jeffrey non conosce la meta e il motivo della trasferta: suo padre lo ha abbandonato quando era ancora un bambino e nel corso degli anni si sono incontrati raramente. Sono distanti e sconosciuti, ma le giornate in quel luogo a metà tra una clinica da fantascienza e la sede di una setta di fanatici saranno l’occasione per Jeffrey di tentare almeno di conoscere suo padre e per meglio definire il ricordo di sua madre, morta quando era ancora ragazzo.
Sullo sfondo, la lotta dell’uomo tra la vita e la morte, a cui tutti prima o dopo si trovano costretti partecipare, come protagonisti o spettatori, tra incrollabili certezze e totale disorientamento, personaggi enigmatici, momenti di intimità e istanti di accecante bellezza, come il sole del tramonto che invade le strade di New York e strappa un ooh di stupore a un bambino: quello stupore incantato che racchiude, forse, uno dei modi in cui la vita riesce a vincere la sfida quotidiana con la morte, anche se solo per un attimo.
Zero K
di Don Delillo
Einaudi
19 euro
Dal libro
“Non mi ero mai sentito così umano come il giorno in cui mia madre era distesa a letto, morente. Non era la fragilità di un uomo di cui si dice che è, appunto, umano, vittima di una debolezza o di una vulnerabilità. Era un’ondata di tristezza e di perdita che mi ha fatto capire che io ero un uomo ingrandito dal dolore. C’erano ricordi, ovunque, che arrivavano spontanei. C’erano immagini, visioni, voci e il fatto che l’ultimo respiro di una donna dà espressione all’umanità costretta di suo figlio. Ed ecco la vicina con il bastone, immobile, in eterno, sulla soglia, ed ecco mia madre, a portata di braccio, a portata di mano, quieta. (…) Mia madre era normale a modo suo, un’anima libera, il luogo dopo potevo tornare e sentirmi al sicuro”.