Siamo nella città di New York nel 1944, anno in cui fu colpita da un’epidemia di poliomielite in cui erano minacciati soprattutto i bambini. Siamo nei quartieri ebraici e nonostante la guerra, Bucky Cantor, atleta 23enne, si deve occupare di un bel gruppo di ragazzi di un campo estivo. Alto, spalle squadrate, fisico possente e prestante ma ha un problema è molto miope ed è per questo che è stato sollevato dalla leva. Ha anche una bella fidanzata che, nell’estate è lontana, in un campeggio, protezione montuosa contro la terribile epidemia che sta sconvolgendo l’estate metropolitana delle famiglie newyorkesi. Bucky ha perso la madre da piccolo ed il padre, scorno e disonore della famiglia, è stato messo in galera per appropriazione indebita. Così, Bucky è stato allevato dal nonno, uomo di poche parole e sani principi. E Bucky è cresciuto come lui, estremamente diligente, buono e con un fortissimo senso del dovere.
Ma anche uno come Bucky di fronte alla malattia perde tutto quel buon senso che lo hanno sempre caratterizzato, inadatto ad affrontare la situazione che i suoi ragazzi stanno vivendo specie dal momento in cui la malattia incomincia a colpire i suoi migliori allievi e lui. È una nemesi.
L’epidemia di polio è per Bucky un’evidente metafora del nemico ingiusto che viene visto talvolta con raziocinio, e quindi come un pericolosissimo virus, ma altre come una versione metafisica di un Dio crudele che lo colpisce per fargli pagare il suo egoismo, il suo pensare ai propri interessi o nell’ottica nichilista del caso.
Ovviamente l’ironia cinica e spiazzante di Roth, che rimane uno dei migliori autori della letteratura contemporanea, gioca su due piani: quella “Nemesi” del titolo può assumere il duplice significato di indignazione o vendetta ma in entrambi i casi va riferito alla crudeltà della casualità che genera la buona o la cattiva sorte nell’universo.
NEMESI
di Philip Roth
Einaudi