Come tutti i migliori classici, il romanzo parla di noi: parla di come la disperazione, la privazione o il desiderio di innalzarsi appena al di sopra della sopravvivenza tolgano spazio a tutto il resto, a tutto ciò che siamo abituati a considerare importante per il nostro vivere. È il brutale impero dell’economia. La malora trasuda il fascino rude dell’alta Langa nella quale è ambientata la vicenda. Il padre di Agostino è morto e il pensiero si sposta subito sui marenghi, sul denaro per la sepoltura. L’aspetto pratico-economico assume la sua sconcertante dimensione assoluta.
È per i denari che il nucleo familiare si spezza: Agostino viene mandato quale servitore dal mezzadro Tobia per sette marenghi l’anno (da versare al padre), il fratello Emilio in seminario con la speranza di prendere un giorno la madre come perpetua e in remissione di alcuni debiti con una beghina di paese. Per chi parte e per chi rimane, la vita è dura, è vita di stenti e patimenti. Estrapolate dal contesto langarolo e contadino, le vicende potrebbero essere adattate a fatti di cronaca della crisi. La lingua che Fenoglio impiega è del tutto foggiata sull’argomento: asciutta, diretta, con parole pesanti, forte, quasi di violenza. Alla fine Agostino resiste con dignità e alla fine, nel momento più buio, si aprirà uno spiraglio di vita non felice, ma quasi tale anche nella malora.
La malora
di Beppe Fenoglio
Einaudi