È di qualche giorno fa l’accorato appello del Segretario Generale dell’Onu a tutti i Paesi in guerra per un immediato cessate il fuoco globale. Antonio Guterres ha, nella sua richiesta, messo in evidenza il fatto che il mondo sta fronteggiando un comune nemico, un virus al quale “non interessano nazionalità, gruppi etnici, credo religiosi e fazioni. Li attacca tutti, indistintamente e senza tregua. La furia del virus sottolinea la follia della guerra”.
Sembrava un ulteriore appello dell’Onu destinato, anch’esso, a cadere nel vuoto. Un appello che voleva non solo attirare l’attenzione sulle sofferenze delle popolazioni in guerra e sulla loro particolare vulnerabilità di fronte alla pandemia in corso, ma anche aprire uno spiraglio affinché la diplomazia e il dialogo sostituissero, nel periodo di emergenza, il rumore delle armi.
Quell’appello, al quale si è unito domenica scorsa anche il Papa, sembra invece aver acceso un lumino di speranza, perché poco a poco, in questi ultimi giorni sono giunti alcuni timidi segnali di risposta positiva per una tregua umanitaria : dalle Filippine al Camerun, da Idlib in Siria allo Yemen. Certamente una fragilissima speranza che, tuttavia, in questo periodo così dolorosamente inaspettato e difficile, ha un suo valore (nella foto in alto, il mosaico di “Imagine” a Central Park a New York, città in cui ha sede l’Onu; sotto, la bandiera Onu).
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