Dopo un assestamento non facile né scontato, quasi tutte le scuole si sono organizzate in un insieme di attività riassumibili nella definizione di “didattica a distanza”. Hanno infatti recepito l’indicazione del Miur che si è profilata – nel corso delle note via via pubblicate – non come un semplice “invito”, ma piuttosto come un obbligo. Nel nome del diritto allo studio, previsto dalla Costituzione, e con una forzatura necessaria in tempi di emergenza – gli organi collegiali non possono né riunirsi né deliberare – la didattica a distanza è così entrata nelle vite recluse degli insegnanti e di tutti i loro studenti. E adesso? Tra le dichiarazioni del ministro, Lucia Azzolina, e le note che vengono pubblicate con cadenza accelerata, si riesce a comporre una fotografia, piuttosto definita in alcuni elementi e molto sfocata in altri.
Il testo dell’ultima nota Miur – la 388 del 18 marzo – è infatti, nell’insieme, chiaro e multiforme, perché presenta solchi tracciati, sfuggenti sottotracce e qualche grossolana dimenticanza.
Il solco tracciato è quello di una scuola chiamata ad esserci, anche in assenza, come comunità educante. Nella lontananza si svela ciò che avevamo sempre pensato: la scuola è soprattutto interazione. La nota ha il merito di renderlo esplicito, investendo docenti e dirigenti dell’onore, e dell’onere, di intraprendere azioni di didattica a distanza e sforzandosi di definire ciò che è didattica a distanza (come “videolezioni, chat di gruppo, trasmissione ragionata di materiali didattici”), e ciò che non lo è (come l'”invio di compiti, senza un intervento successivo di chiarimento”).
E’ una presa di posizione coraggiosa, che tutto sommato rassicura sul futuro della scuola. Quando tutto questo sarà passato, si tornerà in classe: le piattaforme virtuali oggi utilizzate potranno essere uno strumento in più, che non sostituirà la presenza dal vivo.
La seconda traccia – un solco un po’ meno profondo, in verità – è data dalle indicazioni sulla valutazione, definita un dovere per gli insegnanti e un diritto per gli studenti. Secondo la nota, deve essere “costante, tempestiva e trasparente”, deve valorizzare e spingere all’approfondimento e alla responsabilità, deve essere flessibile e personalizzata. La definizione è quella di un libro dei sogni, ma si apre con il ricorso all’immagine del “buon senso didattico” (gran cosa, quando c’è) e si chiude con un’invocazione alla “necessaria flessibilità” dovuta alla situazione. Nell’insieme, le indicazioni non sembrano troppo stringenti, e demandano all’autonomia di ogni istituto il compito di “riflettere sul processo formativo compiuto nel corso del periodo di sospensione didattica”. Come saranno declinati il “buon senso didattico”, l’autonomia, la “necessaria flessibilità” non è per ora dato di sapere. C’è da augurarsi che le scuole sappiano fare rete, almeno a livello territoriale, per evitare disparità.
Il tema della valutazione, porta su di sé la prima sottotraccia: è chiaro che la nota ministeriale non prevede un veloce ritorno alla normalità. Questa impressione si interseca, e diventa certezza, se la si misura con lo stanziamento di 85 milioni di euro per la didattica a distanza, previsto dal decreto Cura Italia appena firmato.
Sempre in sottotraccia, la “necessaria flessibilità” nella valutazione del percorso didattico di ogni studente potrebbe anticipare una probabile modifica degli esami di terza media e degli Esami di Stato. Il filo del pensiero sulla scuola ha una logica che non è difficile da ricostruire, e potrebbe essere ben sintetizzata dalla massima del grande maestro Alberto Manzi: “fa quel che può, quel che non può non fa”.
Eppure c’è un intoppo, una dimenticanza grossolana, che a lungo termine peserà tanto quanto gli effetti diretti della pandemia.
La nota ministeriale sembra raccontarsi la favola dei nativi digitali, sempre online, che possono seguire le lezioni di una scuola a distanza perché hanno a disposizione computer, tablet, stampanti, una connessione internet illimitata e non ballerina, e magari un genitore in casa – obbligatorio nel caso della scuola elementare – che li aiuti a districarsi. Sappiamo che non è quasi mai così, salvo in pochissime realtà. Sappiamo quanto sia difficile, anche nella scuola in presenza, misurarsi con le fragilità dei più deboli e con le difficoltà di inclusione. Una “scuola a distanza” che si innesta su queste premesse, non sa, non può colmare le distanze, e alla lunga rischia di accentuarle.
E’ una scuola che “fa quello che può”, ma non per tutti, fallendo clamorosamente il suo compito di diritto all’istruzione per tutti.